Margherita Forconi "La mia battaglia vinta contro anoressia e autolesionismo"

La ventenne ha presentato "Ora che siamo soli" al Salone del libro "Ancora mi rivedo chiusa nel bagno della scuola con un rasoio in mano. Studio e atletica, non riuscivo ad accettare le mie imperfezioni". .

Margherita Forconi  "La mia battaglia vinta  contro anoressia  e autolesionismo"

Margherita Forconi "La mia battaglia vinta contro anoressia e autolesionismo"

di Lorenzo Monachesi

"Se penso al mio passato mi appare una visione macabra: io, chiusa nel bagno della scuola, con un rasoio in mano". La ventenne maceratese Margherita Forconi, studentessa di Lettere antiche a Padova, ha raccontato la sua battaglia contro anoressia e autolesionismo nel libro "Ora che siamo soli" (Giaconi editore), presentato l’altro giorno anche al Salone del libro di Torino. "Mi è sempre piaciuto scrivere – aggiunge – e raccontare il mio passato vuol dire fissarlo e lasciarlo andare".

Forconi, quali erano i problemi che sentiva pesare come macigni?

"Ero piena di insicurezze, non riuscivo ad accettare la mia imperfezione. Avrei voluto essere una studentessa e un’atleta modello (è stata una mezzofondista, ndr), ma ho scoperto di non esserlo".

In quale momento ha capito che il suo messaggio era arrivato a qualcuno, che le sue pagine avevano seminato qualcosa?

"Quando ricevo i messaggi di chi ha letto il libro, di chi vuole organizzare presentazioni per parlarne. C’è chi mi ha detto di non essersi sentito invisibile dopo avere letto la mia storia, di non sentirsi solo".

Lei ha chiesto aiuto, quanto è difficile farlo?

"Tantissimo. Significa riconoscere di essere deboli, penso che la maggior parte di noi non voglia ammetterlo con se stesso".

C’è un episodio di quel periodo che non può dimenticare?

"Una sera dopo l’allenamento di atletica il mio coach è rimasto a parlare con me 30 minuti. Lui aveva intuito che qualcosa non andava bene e gli ho spiegato cosa mi stava succedendo. Alla fine i nostri occhi erano diventati rossi dalle lacrime. Ero già seguita da un terapeuta, ma in quel momento mi sono sentita compresa, mi è stato d’aiuto perché c’era chi sapeva del mio malessere. Ecco, il mio coach ha dato cittadinanza a un dolore".

Il suo allenatore è stato quindi importante.

"Io non gli ho mai detto quanto sia stato fondamentale per me parlargli, scrivere è stato un modo per confessarlo ed è stato bello l’abbraccio che ci siamo dati quando lui ha letto il libro".

Poi è arrivata la pandemia che ha amplificato il suo malessere.

"Lo ha ingigantito enormemente. Adesso la vita ha ripreso a scorrere e ho notato la differenza tra dovere stare rinchiusa a casa a parlare con me stessa (cosa che non fa che alimentare le proprie insicurezze) e il continuo confronto con gli altri che mi dà una nuova dimensione e spazza via le incertezze".

Qual è stato il momento in cui ha capito che così non poteva andare avanti?

"Quando si è suicidata una mia amica e ho toccato con mano quanto dolore aveva generato quella tragedia".

La cerca chi sta combattendo ora la battaglia che tempo fa è stata anche la sua?

"Sì, ma non è facile parlare con loro perché mi rendo conto di cosa si provi, perché è complicato trovare la parola giusta, sentirsi dire quello che avrei voluto ascoltare io. Ho paura a dare risposte perché è una responsabilità ed ecco perché è importante parlare di questi problemi con i terapeuti".

L’altro giorno è stata a Torino al Salone del libro, cosa conserva di questa esperienza?

"Un momento divertente, formativo, ho conosciuto editor, scrittori".

E adesso?

"Ora devo studiare, lunedì ho l’esame scritto di Latino".