Massimo Ciocci: il cielo è sempre nerazzurro "Quanti campioni in campo nella mia Inter"

Il provino a 14 anni, le lezioni del Trap, i racconti di Passarella e l’esordio contro Diego Maradona. "Il 19esimo scudetto? Era ora"

Migration

di Lorenzo Monachesi

"Ricordo quando in ritiro con l’Inter noi giovani andavamo in camera di Daniel Passarella (campione del mondo con l’Argentina nel 1978 e nel 1986). Lui ci affascinava raccontandoci i mitici derby argentini River-Boca e noi stavamo ad ascoltare come dei bambini". Massimo Ciocci, nato nel 1968, pesca tra i tanti ricordi della sua permanenza all’Inter, dove è arrivato quando aveva appena 14 anni ed è rimasto fino al 1988. Poi è tornato in nerazzurro nella stagione 1991-‘92. "Mi voleva anche il Bologna – racconta –, ma scelsi l’Inter molto probabilmente per il blasone, della società".

I grandi club organizzavano dei provini per cercare nuovi talenti.

"Era così. Ho sostenuto il primo provino per la Fiorentina, ma poi sono stato scartato perché, pur essendo molto veloce, ero effettivamente troppo magro".

E alla Fiorentina ha segnato la prima rete in serie A.

"Ho fatto gol (era il 26 aprile 1988) sotto la curva dei Boys e mi sono trovato a festeggiare dalla parte opposta, cioè dove c’era Zenga. Come ci sono arrivato non lo so neppure oggi". Dopo la conquista di questo scudetto targato Conte, voi ex nerazzurri vi siete sentiti, magari attraverso la chat?

"Chat non ne abbiamo, ma c’è Inter forever (che riunisce i giocatori che hanno contribuito alla storia del club) e ci si ritrovava insieme quando si organizzavano delle partite. Poi, quando torno a Milano, vado a trovare quei compagni che adesso fanno parte dello staff tecnico delle varie squadre giovanili nerazzurre. Invece, abbiamo una chat tra tutti i ragazzi che hanno poi giocato nel vivaio nerazzurro". Che cosa vi raccontate?

"È nata per Enrico Cucchi, il nostro compagno morto in seguito a un tumore. Ogni tanto c’è chi inserisce una fotografia di quei tempi e ovviamente fa pure capolino un po’ di nostalgia".

A proposito di nostalgia, non ne ha avuta almeno un po’ quando a 14 anni ha lasciato la famiglia e gli amici per trasferirsi da Corridonia a Milano?

"Un po’ all’inizio, e poi quando lasciavo i miei a Corridonia per tornare a Milano, ma lassù pensavo al calcio e passava tutto. Ero l’unico ragazzino di fuori, ricordo che partivamo in pullman e nelle trasferte vicine i compagni tornavano in auto con i genitori, mentre solo io della squadra salivo di nuovo in pullman". Il telefono era l’unico mezzo per stare in contatto, a quei tempi non c’erano i cellulari.

"I miei genitori mi chiamavano ogni sera, però nel collegio c’era un telefono solo e davanti ogni volta c’era davvero la fila".

Lei ha fatto la trafila nel vivaio nerazzurro?

"Ho giocato dai giovanissimi in su in un gruppo compatto più che mai, insieme abbiamo sofferto ma anche vinto molto. Ricordo la semifinale del torneo Viareggio con la Fiorentina di Baggio, vinta a Firenze grazie a un gol di Mandelli. E ho quasi cento presenze da professionista nella prima squadra dell’Inter, e tra le varie competizioni".

Il 22 marzo 1987 non è una data qualsiasi.

"È l’esordio in serie A con la maglia dell’Inter contro il Napoli di Maradona. Ricordo San Siro strapieno: una volta sceso sul terreno di gioco ero tranquillo, ma poco prima ero attraversato da mille emozioni, perché il boato del pubblico e quella muraglia di persone ti trasmettono delle sensazioni fortissime". San Siro può essere un grande alleato, ma può anche incutere timore?

"Lì il pubblico è effettivamente il dodicesimo uomo in campo, ma a volte lo è anche per gli avversari. Si sente quando commetti un errore, se sbagli un pallone percepisci subito il malumore, per questo occorrono la personalità e il carattere per giocare in quello stadio. Ma quando il pubblico è al tuo fianco quella spinta è reale, la senti davvero ed è come se qualcuno ti spingesse da dietro le spalle". Lei ha avuto il piacere di giocare al fianco di grandi campioni.

"Ho giocato con Rummenigge, una grande persona in campo e fuori, Altobelli, Klinsmann, quel giocatore straordinario che era Matthaus, Brehme, Bergomi, Zenga, Passarella e potrei continuare a lungo. Ho giocato con i campioni del mondo, grandi calciatori e delle grandi persone". Poi ci sono i racconti di Passarella.

"Lui non solo ci parlava dei derby River-Boca, ma delle meravigliose giocate di un Maradona sedicenne. Io, Cucchi, Civeriati, Minaudo stavamo ad ascoltare a bocca aperta e nella nostra mente quelle parole diventavano delle immagini. Poi lui ci dava sempre tantissimi consigli". E poi c’è il Trap.

"Gli devo tutto, mi ha fatto esordire, allenare con la prima squadra nei primi anni. Ricordo quanti consiglia dava a noi giovani". Poco tempo fa è morto Bellugi, con il quale era legato da amicizia.

"È stato un legame nato da amicizie comuni, lui è stato una persona straordinaria e simpatica". Contento per il 19esimo scudetto?

"Era ora. Il tricolore è meritato, la squadra ha fatto una grande cavalcata dopo l’eliminazione dalla Champions quando c’è stato l’evidente cambio di passo".