Bambini che vivono per strada con storie di abusi, violenze, malattia, bambini orfani o abbandonati, storie terribili di povertà e disagi in una delle baraccopoli più grandi al mondo, difficili anche solo da raccontare. Un luogo dove si tocca la disperazione vera ma dove si può far entrare un raggio di sole, portare un po’ di speranza e ricevere tanto amore in cambio. Tutto questo è rimasto negli occhi e nel cuore dei volontari dell’associazione "Sermigo don Ennio Borgogna": partiti da Macerata, dopo nove anni hanno fatto ritorno in Kenya, e precisamente a Nairobi, alla missione Bosco Boys, tramite il missionario salesiano don Felice Molino. Qui vivono i ragazzi di cui i Salesiani hanno conquistato la fiducia, ragazzi tolti dalla strada che trascorrono nella missione un periodo di alcuni mesi.
Sono partiti alla volta di Nairobi Leonardo Giusti, presidente dell’associazione, Luca Maccari con la moglie Federica Zallocco, medico, e i loro due bimbi, Cecilia Borgogna, Nicola Picchio, Rebecca Marconi, Francesco Marconi, Martina Mazzarella. Un gruppo composto da liceali e universitari, ragazzi, adulti con esperienza missionaria alle spalle e una famiglia con bimbi. La struttura Bosco Boys vede ai piani superiori i dormitori, sotto le aule per la scuola e intorno un grande spazio verde con campo di calcio e altro. Qui i piccoli hanno la possibilità di un primo approccio agli studi, qui si gioca, si danza, si prega. Ma i problemi sono moltissimi, uno su tutti la fuga dei ragazzi per il richiamo della droga. "Per tutto il tempo – racconta Giusti – siamo stati con loro, piano piano stando a contatto li abbiamo conosciuti meglio e con noi si sono aperti. Si crea un rapporto molto profondo. C’è chi non aveva più i genitori o li aveva lontani, chi ci ha raccontato che i genitori sono stati vittime di abusi o violenze e sono scappati. Molti vivevano di elemosina e si drogavano, si usa sniffare la colla per non sentire il freddo o la fame, a volte ricorrono ad altre droghe". Nella missione sono accolti ragazzini tra i 12 e i 18 anni, ma ce ne sono anche di più grandi e di più piccoli. I volontari si sono dedicati a loro, li hanno seguiti ciascuno in base alle proprie competenze, oltre a consegnare medicine, vestiti e altro. "La dottoressa Zallocco, ad esempio, ha visitato per tutto il tempo", racconta Giusti. "Moses, Allan, Peter, John, Fred, Nerere sono alcuni dei bambini e ragazzi che vivono al centro di accoglienza – spiega invece Luca –, insieme ai Salesiani padre Peter, John, Sten e i volontari. Vengono ‘sottratti’ dalla strada da questi sacerdoti. Bambini con storie di violenza, abusi, malattie, mancanza di educazione, che si ritrovano a vivere in strada e incontrano la droga. I Salesiani si avvicinano, conquistano la loro fiducia e li accolgono".
"Il momento più toccante è stato forse a Kibera – riprende Giusti –, dove vedi gente che vive nell’immondizia, in case di 3 metri, senza tetto né servizi igienici. Quando piove, si allaga tutto, lo sporco entra dentro. Ci sono fogne a cielo aperto. Siamo entrati lì accompagnati dalle suore della Congregazione Ancelle della Visitazione. Siamo andati dai casi più gravi, lasciando loro un aiuto o facendoli visitare dalla dottoressa". "È incredibile quanto amore riescano a dare questi ragazzi anche se nella loro vita poco ne hanno ricevuto – le parole di Zallocco –. Non è mai mancato un sorriso, un abbraccio, una benedizione. Entrare nelle baracche di Kibera toglie il fiato. Si cammina calpestando immondizia e stando attenti a schivare ruscelli di acqua putrida, tra polli e cani che si alimentano di spazzatura. Nelle baracche, grandi pochi metri quadrati, ci sono famiglie, la maggior parte composta da donne abbandonate dai mariti, che provvedono a 4 o 5 figli da sole. Siamo stati in una baracca dove vive una mamma con un figlio affetto da paralisi secondaria a meningite. La mamma di giorno deve andare a lavorare e quindi è costretta a lasciare il proprio figlio solo in questo tugurio, al buio, incapace di muoversi. In questo inferno ci sono persone che con forza sovrumana cercano di combattere e donare speranza". Come le suore, appunto. "Camminano al fianco di queste persone portando loro amore e speranza – dice Federica –. La speranza è ciò che ci portiamo a casa. In questa terra così disperata, si respira paradossalmente un senso di religiosità che penetra nella vita. Un grande insegnamento che ci donano questi ragazzi e questi missionari".
Giusti spiega che hanno organizzato una raccolta fondi a Macerata "ma devo dire che si fa tanta fatica, c’è poca sensibilità rispetto a questi temi, è come se si abbia il timore che poi quei soldi non arrivino a destinazione. Invece noi gli aiuti li portiamo là, medicine e vestiti, mentre sul posto abbiamo poi acquistato saponette, dentifrici, molte scarpe".