Nel nome di Arturo Ghergo, le dive splendono sempre

In mostra a Montefano le opere del ritrattista delle dive. Il Premio a lui dedicato a Maurizio Galimberti

Da sinistra, Sabrina Colle, Vittorio Sgarbi e Maurizio Galimberti, vincitore del Premio Ghergo

Da sinistra, Sabrina Colle, Vittorio Sgarbi e Maurizio Galimberti, vincitore del Premio Ghergo

Montefano (Macerata), 3 aprile 2017 - Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Alida Valli, Marella Agnelli. E’ solo l’inizio del lungo elenco delle donne immortalate dagli anni ‘30 agli anni ‘50 da Arturo Ghergo, il fotografo delle dive. Attrici fotografate come principesse, principesse fotografate come dive.

E ci saranno le foto di grandi personaggi come Borghese, Bulgari, Caracciolo, Feltrinelli, Ruspoli, Torlonia, dell’Aga Khan e del pontefice Pio XII che continuerà a benedire con sole tre dita alzate, così come il grande fotografo lo aveva voluto ritrarre.

La fortuna di Arturo Ghergo comincia a Roma dove si trasferisce nel 1929 da Montefano, in provincia di Macerata, il paese che gli ha dato i natali, dove si tiene un premio di fotografia a lui intitolato.

Per l’edizione 2016-2017 del Premio dedicato a Ghergo, la splendida attrice Sabrina Colle, compagna del critico d’arte più famoso, è stata madrina dell’evento nella giornata inaugurale e modella per l’opera live realizzata da Maurizio Galimberti, «l’artista della fotografia istantanea» che ha ritratto George Clooney, Catherine Zeta-Jones, insignito per l’occasione del Premio alla carriera.

Il suo lavoro, conosciuto a livello internazionale, come linguaggio che affida a tessere scaturite da Polaroid la creazione di un mosaico che riconduce alla unità attraverso la molteplicità. Uno stile personalissimo come espressione «del vedere e del sentire» attraverso scatti simultanei.

Vederlo all’opera è vederlo progettare nel tempo di un istante ciò che diventerà una sequenza di straordinaria espressività, come accade per il ritratto di Sabrina che andrà a riempire lo spazio di una cornice vuota. Quarantotto scatti ravvicinati, a partire dalla testa ai particolari del volto e delle mani che coprono il suo viso, una sequenza che rimanda ad una dimensione surreale e nello stesso tempo oggettiva.

C’è in questo artista la fascinazione di un linguaggio nuovo come luogo della visione e ancor più della mente. C’è la consapevolezza che l’uomo non può riempire lo spazio e si eleva sopra le cose solo attraverso il pensiero e conduce, come ci suggerisce un celebre pensiero, a vedere nell’immaginazione estetica non una semplice disposizione a percepire, a organizzare, a fissare, a esteriorizzare, ma un potere di trasfigurazione che cerca e crea spontaneamente la propria tecnica per lasciare nell’opera creata un alone di imperscrutabilità, una zona d’ombra impossibile da penetrare.

Poi Cristina Ghergo, figlia di Arturo, nota fotografa di moda, «sono diventata fotografa mio malgrado», racconta di un ragazzo senza mezzi che apre uno studio fotografico a Roma in via Condotti e sarà l’ascesa verso il successo. Le donne volevano tutte essere ritratte da quel fotografo che le faceva apparire belle più che mai. Ma nei momenti più difficili Arturo arriverà persino ad impegnare l’obiettivo della sua macchina fotografica e fingerà di fotografare per ottenere un anticipo in danaro. Solo in un secondo momento, riscattato l’obiettivo, con uno stratagemma avrebbe fatto lo scatto in realtà.

Arturo Ghergo e Marella Agnelli
Arturo Ghergo e Marella Agnelli

Arturo Ghergo e Marella Agnelli

Racconta di un uomo spiritoso che ha successo con le donne, di un padre conosciuto soprattutto attraverso le fotografie che ha scattato, parla della sorella Irene autrice televisiva di celebri programmi come “Non è la Rai”, e di Sabrina Colle che dirà a sua volta: «Irene e Cristina Ghergo, con Pasquale Pozzessere, sono la mia famiglia. Ho conosciuto Cristina negli anni ’90 quando ero modella, mi ha portato su terrazze inaccessibili e fatto conoscere la Roma di Alberto Moravia, di Carmelo Bene, di Tano Festa».

Il curatore e membro del comitato scientifico della mostra Denis Curti dirà «la fotografia non può mentire, ma i fotografi possono essere bugiardi» e Alessandro Scattolini, il fotografo che riceve il Premio giovane talento per il suo racconto sugli abitanti dell’isola di Ol’chon nel lago Baikal in Siberia. Il suo è uno sguardo che si posa con profondità e leggerezza sul quotidiano, sulla fatica del vivere e nelle mani sporche e rugose di un pescatore c’è il rimando alla memoria «di un tempo passato in cui vivevano mio padre e mio nonno».

Alida Valli fotografata da Arturo Ghergo
Alida Valli fotografata da Arturo Ghergo

Alida Valli fotografata da Arturo Ghergo

Le sue opere in esposizione, insieme al lavoro di Galimberti e Ghergo nella mostra che proseguirà fino al 16 luglio a Montefano nello Spazio intitolato allo stesso Arturo Ghergo. La sua vita e la sua opera raccontata dal regista Pasquale Pozzessere con un film del 1999 che disegna con grande empatia l’uomo e il personaggio. Il commento intimo e personale con la voce di Alice, la bellissima, giovane polacca che un giorno si presenta nello studio romano del fotografo e diviene assistente e poi moglie del maestro.

Le donne del suo «reportages» interpretate con la professionalità di una superba Sabrina Colle con quella leggerezza di cui «ora non sarei più capace» e che diviene icona di tutte le donne interpretate con un gioco di luce a creare mistero e perfezionate con un ritocco manuale così da esaltarne la bellezza. Un modo di fare fotografie con la mano, «con l’occhio, l’intelletto e il cuore». E a dirlo era Cartier Bresson.

Sabrina Colle e Vittorio Sgarbi
Sabrina Colle e Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi con Sabrina Colle

Lo stesso Vittorio Sgarbi, intervenuto alla cerimonia di premiazione come ospite d’onore, seduce la platea e al suo arrivo l’atmosfera si colora di rosso. Parla della fotografia come di una tecnica che è nello stesso tempo espressione di vita e insieme di morte. «La fotografia è ostaggio del particolare, analizza delle cose che vanno oltre ogni esperienza artistica, la fotografia nasce morta e blocca il tempo in modo crudele». Di certo fotografare significa amare, vivere, scoprire. Se fosse possibile fotografare l’anima di due come Vittorio e Sabrina, quando sono insieme, il risultato sarebbe la forma di un amore che non ha bisogno degli eroismi del quotidiano, delle convenzioni, dei mai e per sempre. L’eternità è in un momento che nemmeno la fotografia può fare suo.