Noi e le dittature, la lezione del tennis

Pierfrancesco

Giannangeli

Una docu-serie in uscita nei prossimi giorni ci può aiutare a focalizzare un aspetto del momento in cui viviamo, anche se racconta di un’altra epoca e di un’altra situazione. Ma un possibile parallelo con l’attualità è evidente. La docu-serie in questione si intitola "La squadra", la firma Domenico Procacci, noto produttore al debutto come regista, e andrà in onda su Sky Documentaries dalla serata del 14 maggio (e sarà poi disponibile on demand sulla piattaforma e in streaming su Now, oltre ad avere un’anteprima nelle sale cinematografiche da lunedì a mercoledì prossimi). La squadra di cui si parla è quella formata da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli, alfieri in campo guidati dal capitano non giocatore Nicola Pietrangeli, che nel dicembre del 1976 volò a Santiago del Cile e con autorità si prese per la prima e unica volta (per ora) la Coppa Davis, la coppa d’argento a forma di insalatiera che rappresenta l’eccellenza del tennis giocato da squadre nazionali. Ma quello fu solo il glorioso epilogo di una delle più tormentate vicende dello sport italiano, perché in tanti quella trasferta non la volevano. In Cile infatti c’era una dittatura, incarnata dal generale Augusto Pinochet, e in molti pensavano che non sarebbe stato proprio il caso di andargli a fare visita. Dopo un dibattito che raggiunse punte molto aspre, e che coinvolse politici e intellettuali, il ministro degli Esteri, all’epoca Arnaldo Forlani, diede il via libera al viaggio. I nostri scesero in campo e vinsero indossando magliette rosse, manifestando così il dissenso nei confronti della dittatura attraverso un gesto destinato a restare nella Storia. Oggi che si parla di esclusione di tennisti russi e bielorussi dai tornei – e più in generale lo sport e l’arte sono diventati a modo loro armi con cui combattere la guerra – riflettere sulla potenza di un segno, piuttosto che imporre qualcosa, sarebbe decisamente opportuno.