Omicidio di Rosina a Montecassiano: le motivazioni della sentenza e il movente

In primo grado ergastolo per Enea, 23 anni. La madre e il nonno se la sono cavata con una condanna di due anni: "Mancano indizi". "Maltrattamenti reciproci. Rapina simulata male: nessuna premeditazione"

Macerata, 11 aprile 2023 – Con 740 pagine, la corte d’assise ha motivato la sentenza emessa il 15 dicembre scorso sull’omicidio di Rosina Carsetti, la 78enne trovata morta in casa sua il 24 dicembre del 2020. Per quel delitto la corte, presieduta dal giudice Andrea Belli con a latere il giudice Daniela Bellesi, ha inflitto l’ergastolo al nipote dell’anziana, il 23enne Enea Simonetti per omicidio aggravato e simulazione di reato; mentre per simulazione di reato sono stati condannati a due anni il marito della vittima, Enrico Orazi, e la figlia Arianna. Tutti e tre erano stati accusati di omicidio dalla procura.

Esclusa la premeditazione

Nelle lunghissime e articolate motivazioni, un blocco unico senza capitoli né indice, la corte ripercorre i momenti salienti della vicenda: la chiamata alle 19.47 del 24 dicembre, la vita della famiglia prima dell’omicidio, il comportamento degli indagati dopo il delitto, ricostruito attraverso i dialoghi intercettati, e riportati numerose volte. Il marito, la figlia e il nipote di Rosina avevano detto ai carabinieri e poi persino in televisione che, mentre Enea era andato a fare la spesa, in casa era entrato un malvivente che aveva ucciso Rosina e rubato i soldi.

La corte sottolinea la mancanza di segni di effrazione nella villetta di via Pertini a Montecassiano, l’assenza di tracce di estranei in casa, il lockdown. Poi si riporta, anche qui più volte, l’attività messa in atto da Arianna Orazi con il figlio e la cognata Monia Piombetti, per contattare le amiche di Rosina e capire cosa lei avesse detto loro e per suffragare l’alibi di Enea. I giudici mettono in luce le contraddizioni nella versione della rapina data dai tre familiari. Enea, si ricorda, la sera del delitto in caserma e poi in aula, il 15 settembre, ammise che la rapina era stata simulata e che lui, rientrato a casa, aveva colpito madre e nonno e messo a soqquadro la mansarda, per far credere a una aggressione.

Ma la simulazione, sostiene la corte, era piena di "sbagli evidenti, che da un lato consentono di escludere ogni premeditazione e dall’altro dimostrano, piuttosto, l’estemporaneità con cui, di fronte al cadavere della madre, l’imputata avesse ideato il "diabolico" piano della simulazione di rapina". La simulazione mal fatta da Arianna dunque esclude la premeditazione. "Tenuto conto dell’intelligenza e della determinazione di Orazi Arianna – si legge più avanti – solo l’improvvisazione con cui aveva dovuto predisporre le tracce della simulata rapina spiega la pluralità di errori, omissioni e ingenuità".

“Angherie e soprusi reciproci”

Rosina si lamentava della convivenza con figlia e nipote, c’erano stati litigi anche accesi tanto che, tre giorni prima di essere uccisa, si era rivolta a un centro antiviolenza. La donna protestava perché le avevano distrutto il giardino, tolto l’auto e la stufetta, il nipote "le faceva dei dispetti" tanto che lei aveva chiamato i carabinieri. "Carsetti – scrivono però i giudici – ammetteva di "aver sempre speso tanto", sul punto erano fondati i rimproveri della figlia, tuttavia in passato "tutti" avevano mantenuto un elevato tenore di vita".

"Abbiamo fatto una vita da ricchi e ricchi non eravamo", dice Rosina a una amica. L’anziana contestava l’assunzione di una persona in negozio, mentre il nipote "dormiva fino a tardi". Per la corte però le testimonianze degli amici di Rosina, in merito ai maltrattamenti subìti, peccano di "evidente genericità. Non sussistono elementi istruttori che dimostrino che Enea Simonetti avesse aggredito fisicamente la nonna, prima dell’omicidio. I conoscenti avevano raccontato in aula le paure della 78enne, che diceva a tutti "che se le fosse successo qualcosa avrebbero dovuto cercare in casa l’assassino"".

Ma non può escludersi, scrivono i giudici, che fosse suggestionata dai programmi televisivi o dai telegiornali. "Aspetti di disagio e litigiosità tra i familiari che non si discostavano da altre situazioni normali, che non presentavano particolari aspetti di criticità", secondo i giudici. La corte evidenzia piuttosto che Carsetti donasse abiti e borse alle amiche: "Risulta singolare – si legge – che Carsetti da un lato non avesse cercato di vendere tali beni in qualche negozio vintage o dell’usato, come aveva fatto con i gioielli, e dall’altro le sue regalie venissero sempre accompagnate dalle confidenze sulle condotte asseritamente vessatorie dei familiari. Voleva continuare a comandare e gestire la casa come quando viveva solo con il marito".

La procura aveva evidenziato come i familiari registrassero le telefonate della nonna, tanto da sapere ad esempio che un’amica le aveva prestato dei soldi, e forse anche che era andata al centro antiviolenza prima di essere uccisa. La sentenza cita moltissime di queste conversazioni tra Rosina e le amiche, ma per dimostrare quanto lei si lamentasse dei parenti, per sottolineare che Carsetti aveva ammesso di aver picchiato il marito oltre a insultarlo in più modi. Il fatto che i familiari la registrassero diventa un elemento contro la vittima dell’omicidio. In una registrazione di agosto 2020, si parla delle difficoltà economiche della famiglia: il marito accusa Rosina di costargli 5mila euro all’anno, quando lei lo accusa di essere stato manipolato dalla figlia.

Numerose intercettazioni tra Arianna e le amiche sono lette come prova del fatto che Rosina fosse esosa e lamentosa. E le accuse della figlia sono ritenute credibili, ad esempio in merito al fatto che Rosina avesse avuto incidenti stradali e per questo le avessero tolto l’auto. "Angherie e soprusi – scrive la corte – avvenivano inter pares, posto che Carsetti riusciva a fronteggiare i suoi interlocutori non risparmiando insulti e improperi e ricorrendo anche alle sberle". L’anziana si lamentava, aveva paura, una aveva chiamato i carabinieri perché spaventata dal nipote, infine aveva chiesto aiuto al centro antiviolenza, poco prima di essere uccisa, ma per la corte anche lei maltrattava i familiari, quindi nessuna condanna per i tre imputati. "Questa m’ha rovinato la vita da viva e da morta", dice Arianna intercettata pochi giorni dopo il delitto.

Il movente di Enea

Bisogna arrivare a pagina 386 per il movente: "La prospettiva in cui ricondurre la condotta delittuosa deve individuarsi nella crisi economica della ditta di famiglia, fallita a novembre del 2021". Il fallimento per altro è successivo agli arresti dei tre, che forse non hanno giovato all’attività. Rosina, scrive la corte, è morta tra le 16.30 e le 18.30 per asfissia acuta da compressione delle vie aeree del collo e del mantice toracico. Fino alle 17.47, Enea Simonetti era ancora in casa.

La sentenza ripercorre gli scambi tra lui e la nonna, la versione contraddittoria data ai carabinieri la notte dell’omicidio, quando ammise che la rapina era inventata per poi ritrattare, le conversazioni con la madre: "Quando gli fanno l’autopsia e vede che è stata strozzata – dice Arianna il 25 dicembre – chi l’ha strozzata? Io? Uno che pesava 70 chili? Non dì mai quello che hai fatto". "L’unica spiegazione logica della permanenza di Enea fuori dalla villetta – scrive la corte –, per fare la spesa e poi rimanendo nel parcheggio del supermercato per più di un’ora, era quella di precostituirsi un alibi, una volta uccisa la nonna". "Costituiscono prova della penale responsabilità di Simonetti – prosegue – la pluralità delle sue dichiarazioni autoaccusatorie, oggetto di intercettazioni durante le indagini, corroborata dalle espressioni eteroaccusatorie, altrettanto inequivoche, utilizzate sempre nelle intercettazioni dalla madre e dal nonno, riguardo alla sua responsabilità per l’omicidio della nonna".

Infatti Enea, intercettato, tra l’altro aveva ammesso di aver dato uno schiaffo al nonno e di aver messo in disordine la mansarda, per rendere credibile la storia della rapina. Enea aveva comprato un’auto da 56mila euro e la moto, con i soldi di casa venduta, ed era stato pagato l’anticipo di 5mila euro per la pizzeria dove avrebbe dovuto lavorare, Rosina, a detta del marito, ne costava 5mila all’anno. Enea era quello che forse risentiva meno delle difficoltà economiche della famiglia, tuttavia la corte ritiene che il delitto abbia un movente economico e sia stato commesso dal ragazzo.

Mancano gli indizi su Arianna ed Enrico 

Esclusi i maltrattamenti a Rosina, esclusa la premeditazione visti gli errori nel simulare la rapina, resta l’omicidio per il quale mancano indizi su Arianna e il padre, prosegue la motivazione. Arianna aveva avuto discussioni con la madre, ma non aveva mai perso il controllo. "Orazi Arianna – scrivono i giudici – ipotizzava che se avesse voluto uccidere la madre, avrebbe approfittato di uno dei pomeriggi in cui lei si addormentava sul divano". Arianna lo diceva quando con le amiche parlava ancora della rapina in casa. . Poche facciate, dalla pagina 675, per Enrico Orazi, per il quale la corte non individua prove di colpevolezza nell’omicidio e dei maltrattamenti. "Lui era l’unico dei correi all’oscuro della causa della morte della moglie, tanto che al figlio riferiva che fosse morta di infarto". La corte sottolinea che, nonostante la moglie lo insultasse, lui continuava a portarle un panino ogni mattina. Intercettazioni e dichiarazioni di Enea Simonetti sono invece riportate più volte per indicare la sua colpevolezza per l’omicidio e la simulazione di reato. Dei tre, oggi solo Enea è ancora in carcere.

Verso l’appello 

Per tutti ora si apre la possibilità di fare appello. Per il ragazzo lo faranno senza dubbio gli avvocati Andrea Netti e Valentina Romagnoli, convinti che il ragazzo sia stato solo uno strumento nelle mani della madre. Per Arianna ed Enrico, gli avvocati Olindo Dionisi e Barbara Vecchioli stanno ancora valutando, alla luce del fatto che era stato chiesto l’ergastolo anche per loro. Di sicuro però farà appello la procura.