Esportiamo nel mondo calzature per un valore complessivo di 13,2 miliardi di euro, l’85% della nostra produzione. Di questi, un miliardo e 388 milioni, una fetta importante, riguardano il mercato statunitense. Si sostiene spesso il valore e la rilevanza del made in Italy, ma è necessario che il governo sostenga la filiera della moda, altrimenti il rischio che questa non regga è molto concreto". Giovanna Ceolini, presidente nazionale di Assocalzaturifici, non ci gira intorno: la situazione è difficile, e preoccupante. Gli aumentati costi dell’energia, la guerra in Ucraina con le sanzioni alla Russia che di fatto hanno chiuso il mercato di questo paese alla nostra produzione, i "paletti normativi" europei che, pur necessari e importanti, fanno lievitare i costi e, ora, l’aumento dei dazi annunciato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. "In questo modo i prezzi dei nostri prodotti aumentano continuamente e perdono competitività. O il governo interviene in qualche modo su questo versante, oppure deve farlo su quello dei costi. Di certo bisogna fare qualcosa, anche perché l’export, in questa prima fase del 2025, è già iniziato con il segno meno".
"Siamo in presenza di grandi cambiamenti. C’è sicuramente da passare altro tempo con il mare in tempesta, ma bisogna mantenere la calma e la lucidità", afferma Salina Ferretti, della Falc di Civitanova, leader mondiale nel settore delle calzature. "Per noi – prosegue – quello statunitense è un mercato rilevante, anche se non il principale. Al momento sembra esserci solo tanta confusione, perché concretamente nulla è ancora accaduto. Detto questo è evidente che c’è preoccupazione, considerato il fatto che l’aumento dei dazi non fa bene a nessuno, ne risentono tutti i settori. Ma bisogna misurarsi con i cambiamenti, poiché pesano anche altri fattori, come gli acquisti diversi rispetto a quelli di qualche tempo fa dovuti a un cambio dei gusti e degli orientamenti, gli acquisti online, i costi di produzione cresciuti".
f. v.