Omicidio Pamela Mastropietro, tribunale blindato per Oseghale. "Violentata e uccisa"

Oggi il processo, lo zio Marco Valerio Verni: "Non è morta per overdose"

Le forze dell'ordine trasferiscono Innocent Osenghale

Le forze dell'ordine trasferiscono Innocent Osenghale

Macerata, 26 novembre 2018 - Tibunale blindato, stamattina, per il processo a Innocent Oseghale, il nigeriano accusato di avere violentato, ucciso, fatto a pezzi e abbandonato in strada la 18enne romana Pamela Mastropietro. Una scorta seguirà l’imputato, che arriverà dal carcere di Forlì. Per lui, gli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia chiederanno il rito abbreviato, condizionato all’esame di alcuni testimoni. La tesi della difesa è che Oseghale non abbia violentato, né ucciso la ragazza.

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Ma l’avvocato Marco Valerio Verni, zio della ragazza e legale della famiglia, non condivide affatto questa ricostruzione, «soprattutto – dice – dopo avere letto gli atti delle indagini. In primo luogo, Pamela è stata violentata. I giudici del riesame, che hanno escluso questo reato, non hanno tenuto conto di alcuni elementi, che faremo presenti al giudice dell’udienza preliminare e confidiamo saranno tenuti in considerazione. Oltretutto, anche il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto questa ipotesi importante, anche se da circostanziare. Per quanto riguarda le cause della morte, la consulenza medico legale della procura è chiara: l’eroina aveva già terminato il suo effetto quando Pamela è stata uccisa, quindi non è morta per overdose, come invece sostiene l’imputato. Tra l’altro, lei non era affatto disintossicata: le analisi alla bile e ai capelli hanno rivelato assunzioni recenti di eroina, e poi vorrei capire come sia successa questa cosa, visto che era in una comunità. Le ferite al fianco e il colpo alla testa, probabilmente un pugno, le sono arrivate quando era viva, i consulenti della procura lo dicono chiaramente. La consulenza della difesa, invece, si limita a ritenere non provato oltre ogni ragionevole dubbio l’omicidio, non afferma che lei sia morta di overdose. Oltrettutto, perché colpirla alla testa, se era già morta?».

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C’è poi la questione del collaboratore di giustizia. Un detenuto ha riferito di essere stato in cella con il nigeriano, che avrebbe confessato tutto. Ma la difesa ha la versione di un altro detenuto, secondo il quale i due non si sarebbero mai incrociati. «Capisco l’interesse della difesa a smontare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia – commenta Verni – anche perché sono chiamate in causa altre persone, non solo per l’omicidio. Oseghale ha parlato anche di altri e c’è tutto l’interesse a ridimensionare le dichiarazioni». Oggi in aula si discuterà di questi profili, e si vedrà se Oseghale avrà un processo con l’abbreviato o uno ordinario in corte d’assise. Per la famiglia, però, resta anche il nodo della Pars. «Pamela prendeva medicine, soffriva di patologie psichiatriche, aveva un amministratore di sostegno: come ha potuto allontanarsi da sola nelle condizioni in cui era? Credo che a garanzia di chi si rivolge a queste strutture ma anche delle comunità, si debba fare seria riflessione sulle norme».

AGGIORNAMENTO Processo al via, urla contro Oseghale