Pamela Mastropietro, la famiglia chiede un milione di risarcimento

L’avvocato Verni: qui si confrontano la civiltà e la barbarie

Marco Valerio e Alessandra Verni, zio e madre di Pamela Mastropietro (Calavita)

Marco Valerio e Alessandra Verni, zio e madre di Pamela Mastropietro (Calavita)

Macerata, 9 maggio 2019 - «Pamela era una di noi, poteva essere la figlia, la nipote, l’amica di ciascuno. Non era una ragazza allo sbando, una tossica o una delinquente». Con convinzione e profonda partecipazione l’avvocato Marco Valerio Verni, zio della 18enne romana, ha difeso le ragioni dei genitori di Pamela, Stefano Mastropietro e Alessandra Verni. La famiglia ha chiesto un milione di euro di risarcimento. «A loro nome – ha detto il legale – respingo le scuse fatte da Oseghale in aula. La corte è chiamata a decidere di una vicenda che resterà negli annali. Qui si confrontano la civiltà contro la barbarie».

Per due ore e mezza l’avvocato ha ripercorso quanto emerso nelle indagini, insistendo in particolare sui tanti aspetti critici della vicenda. Per prima cosa ha chiarito chi fosse Pamela, «cresciuta tra i libri di arte e storia della nonna archeologa, seguita dalla famiglia che, per avere un aiuto in più, si era rivolta anche al giudice tutelare per darle un amministratore di sostegno che la seguisse. L’uso di stupefacenti ha fatto male solo a se stessa e alla sua famiglia, mai agli altri, anzi ha salvato la vita a una ragazza in comunità che aveva tentato di uccidersi». Ha ricordato che lo psichiatra della Pars Di Giovanni in aula ha detto che bastava parlare un po’ con Pamela per capire che non stava bene, e anche il tassista che le ha dato un passaggio e poi ha detto ai carabinieri di averla vista in via Spalato l’aveva descritta come «poco lucida».

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Questi elementi, oltre alla consulenza della criminologa Roberta Bruzzone, descrivono lo stato della ragazza in fuga, facile preda di chi le aveva promesso l’eroina e di chi – secondo l’accusa – avrebbe approfittato di lei non appena assunta la sostanza. «Oseghale ha abusato del diritto di accoglienza internazionale. Ha raccontato di essere figlio di un leader politico ucciso dall’opposizione. Ma la sua richiesta di asilo è stata respinta in via definitiva. A gennaio del 2018 però era ancora qui, perché la corte d’appello di Ancona dopo mesi non aveva ancora trasmesso il rigetto dell’istanza di asilo alla commissione territoriale di Macerata».

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Ancora, ha ricordato che Pamela aveva assunto eroina mentre era alla Pars, per questo la famiglia si aspettava un’indagine sulla struttura «che prende importanti finanziamenti pubblici». Ha poi citato le parole del collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, secondo cui Oseghale sarebbe un membro della mafia nigeriana. «Grazie alla compagna italiana poteva affittare appartamenti da destinare alle prostitute inviate dalla Libia. La tratta è stata interrotta dall’arresto a Roma di una donna. A Roma è stata arrestata anche una tedesca, trovata con dieci chili di droga; in carcere lei ha ammazzato i due figli dicendo che aveva paura della mafia nigeriana. Questa donna era la moglie di uno dei nigeriani arrestati a Macerata con l’operazione Revenant». «Da questo scempio deve emergere tutto il marcio – ha concluso –. Quando abbiamo portato via il corpo di Pamela, il necroforo mi ha detto di fare attenzione perché si sfaldava. Questo processo passerà agli annali come uno dei casi più cruenti e demoniaci al mondo. Una famiglia è distrutta, una comunità lacerata: ora fate giustizia».