Delitto di Pamela Mastropietro, così il nigeriano era stato allontanato dalla accoglienza

Il presidente della associazione che gestisce l'accoglienza ai migranti: "Non si era integrato, lo abbiamo allontanato dal progetto circa un anno fa. Ho avuto minacce per la nostra attività"

L'arresto di Innocent Oseghale (Foto Calavita)

L'arresto di Innocent Oseghale (Foto Calavita)

Macerata, 5 febbraio 2018 - «La nostra associazione non è ben vista dai maceratesi, da sempre, ci considerano i responsabili dell’aumento dell’immigrazione in città». A dirlo è il presidente del Gus, Paolo Bernabucci, che fa una rivelazione: «Un anno e mezzo fa, nell’estate 2016, ho ricevuto una lettera con delle minacce dirette. Nel testo si parlava della fine che avrei fatto e l’ignoto intimava di fermarmi. Ho denunciato tutto alla digos e alla polizia, ma non ho chiesto protezione. Non ho paura e non mi sono mai preoccupato di quella lettera».

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Tra i tanti migranti seguiti dal Gus, c’è anche Innocent Oseghale. Da richiedente asilo a soggetto scomodo. È questa la parabola recente del presunto killer di Pamela Mastropietro. Il nigeriano di 28 anni, finito in carcere con le accuse di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere, è arrivato a Macerata nel 2015 ed è stato subito seguito dal Gus (Gruppo umana solidarietà), l’associazione maceratese che si occupa dei diversi rifugiati, tutti richiedenti asilo.

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«Lo abbiamo dovuto allontanare dal nostro progetto – confermano Paolo Bernabucci e Giovanni Lattanzi, presidente e coordinatore nazionale Gus –. Da quando è arrivato qui lo abbiamo seguito, sin dall’inizio, sin dalla preparazione per la commissione territoriale che deve decidere sulla richiesta di asilo. In effetti la commissione gli ha dato il diniego, ma a quel punto noi, come facciamo con tutti, i ragazzi non li abbandoniamo, cerchiamo soluzioni e li aiutiamo. Innocent, tuttavia, non si era integrato, la sua relazione con gli altri e l’associazione non era quella giusta, perciò siamo stati costretti a metterlo fuori dal nostro progetto».

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Bernabucci e Lattanzi entrano nel vivo della questione, sui motivi della decisione. «Noi conosciamo tutto di tutti i migranti, che ospitiamo e nel suo caso era emerso che lui si era buttato nello spaccio di droga, quindi lo abbiamo dovuto segnalare alle forze dell’ordine. Chiaramente è uscito definitivamente dall’accoglienza e ha iniziato a fare la sua vita. La prefettura ha emanato un decreto col quale ufficializzava la sua uscita dal percorso protettivo, era circa l’inizio del 2017. In questo lasso di tempo per lui le cose sono cambiate. Nel frattempo si è fidanzato con una ragazza italiana, dalla quale ha avuto un figlio. L’appartamento di via Spalato dove viveva? No, non è il nostro. Sono uscite delle inesattezze. Noi abbiamo un appartamento in via Spalato, nel quale ospitiamo dei richiedenti, ma si trova ad altro civico».

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