Pamela Mastropietro, al processo ascoltati Desmond e Awelima. Sentita la Bruzzone

Le telefonate intercettate in carcere sono state al centro dell'udienza. Prossima udienza il 3 aprile: Oseghale rilascerà dichiarazioni spontanee

La criminologa Roberta Bruzzone al processo (foto Calavita)

La criminologa Roberta Bruzzone al processo (foto Calavita)

Macerata, 27 marzo 2019 - Le telefonate e le conversazioni intercettate in carcere sono state al centro dell'udienza che si è svolta oggi in tribunale a Macerata, sull'omicidio della 18enne romana Pamela Mastropietro, trovata in pezzi in due trolley, il 31 gennaio dell’anno scorso. Davanti alla corte d'assise le testimonianze di Anthony Anyanwu, Awelima Lucky e Lucky Desmond, all'inizio coinvolti nelle indagini e poi scagionati. I nigeriani hanno descritto i contatti del 30 gennaio con Innocent Oseghale, imputato di violenza sessuale, omicidio, occultamento e vilipendio di cadavere, negando però di aver visto la ragazza. In aula, come sempre si ritrovano a pochi passi di distanza i genitori di Pamela e l'uomo accusato di averla uccisa e fatta a pezzi.

La prossima udienza si terrà il 3 aprile davanti alla Corte di Assise. Mercoledì prossimo saranno ascoltati alcuni consulenti dell'accusa proprio per questo motivo sarà necessario proiettare nuovamente le immagini choc dell'autopsia effettuata sui resti della ragazza. I legali dell'imputato hanno inoltre annunciato che Oseghale, il quale non si sottoporrà all'esame in aula, rilascerà tuttavia nella prossima udienza delle dichiarazioni spontanee. Intanto oggi si è deciso, con il consenso di tutti, ad acquisire le sommarie informazioni rese all'epoca dai due uomini che nelle scorse settimane sono stati indagati per violenza sessuale nei confronti di Pamela e che a questo punto non saranno ascoltati nel processo

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La deposizione dei nigeriani Il procuratore capo, Giovanni Giorgio, e il sostituto, Stefania Ciccioli, hanno chiamato a deporre in aula i due nigeriani Desmond Lucky e Lucky Awelima, che in un primo momento furono accusati di complicità nel delitto, poi invece furono accusati di spaccio e condannati con l’abbreviato a sei e otto anni di carcere.

"Non sono mai andato a casa di Innocent. Non mi hai mai parlato di una ragazza. Non ho tentato di avere un rapporto sessuale con Pamela. Non ho mai incontrato Oseghale il 30 gennaio scorso: ci siamo sentiti una volta, ma abbiamo parlato di droga". Desmond Lucky, assistito dal suo avvocato Gianfranco Borgani e da un interprete, ha negato tutto, a cominciare da quanto aveva riferito Oseghale agli inquirenti nel corso dell'indagine.

"Not true": non e' vero ha ripetuto, rispondendo in inglese a tutte le domande, compresa quella dell'avvocato della famiglia Mastropietro, Marco Valerio Verni, sulla sua presunta appartenenza ai 'rugged', una banda di giovani duri. "Non ho spacciato droga a Pamela", ha aggiunto e ha negato il contenuto di alcune frasi scambiate in carcere con Lucky Awelima, in un dialetto stretto, e che sono state registrate dagli inquirenti. Un solo lampo, rispondendo a un'altra domanda dell'avvocato Verni: "Pensa di denunciare Oseghale per diffamazione?", gli ha chiesto il legale. "Yes", é stata la risposta secca di Desmond Lucky.

Questo, nonostante da alcune intercettazioni, sembrerebbe che Desmond e Awelima fossero andati nella mansarda di via Spalato quel giorno, invitati perché c’era una «ragazza bianca». Di Desmond ha parlato anche il collaboratore di giustizia che, in carcere, avrebbe raccolto la confessione di Oseghale. Ma riscontri scientifici sulla presenza degli altri due non sono mai stati trovati, sebbene la mansarda sia stata passata al setaccio dai tecnici del Ris.

Ci sono poi una decina di telefonate, tutti evidenziate nei tabulati telefonici del 30 gennaio 2018, tra Oseghale e Antony Anyanwu. Ha scelto di parlare, assistito dal suo legale Paolo Cognini e di modificare alcune delle dichiarazioni che aveva rilasciato agli inquirenti e riportate nei verbali che gli sono stati letti. Ha ammesso di conoscere Oseghale e di "avergli parlato il 30 gennaio". Nel corso di tre interrogatori, Anyanwu ha ricostruito la maggior parte delle fasi concitate del giorno in cui é stata uccisa la 18enne romana, anche perché - dopo l'omicidio - il suo telefono era stato messo sotto controllo. I due hanno dialogato a lungo, a cominciare dalla mattina, quando Anthony chiama l'amico perché aveva "un problema con il permesso di soggiorno".

Le telefonate che contano ai fini processuali sono quelle del pomeriggio: la prima delle 14.09, quando Anyanwu era all'interno del Punto Snai e Oseghale gli disse che "stava ai Giardini Diaz con una ragazza bianca". Era Pamela. "Mi disse: vado a casa - é un passaggio riportato nei verbali, confermato dal teste - e gli risposi di stare attento a frequentare altre donne oltre sua moglie". Dalle 17.18 in poi, é sempre Oseghale a chiamare l'amico, con maggiore frequenza: "Mi ha detto che la ragazza stava dormendo e che, dopo aver fatto sesso con lei, stava andando a mangiare qualcosa", poi piu' tardi che "non riusciva a svegliarsi". "Gli chiesi: quanta roba le hai dato e lui rispose che non era tanta", riportano ancora i verbali. In aula, il teste non ha confermato che "roba" potesse significare droga; agli inquirenti aveva detto di credere che "Pamela avesse mangiato del cibo indiano e si fosse sentita male". 

"Oseghale mi ha chiamato ancora dicendomi che la ragazza stava come prima - é ancora il suo racconto -. Gli ho detto di gettarle dell'acqua in faccia o di metterla in una vasca con l'acqua gelata". Nei verbali di Anyanwu, le comunicazioni via cellulare con Oseghale si interrompono fino alla sera: "L'ho chiamato due volte, ma non mi ha risposto (secondo le celle, a quell'ora Oseghale era nella zona di Sforzacosta, ndr), poi mi ha chiamato lui ma non gli ho risposto". A quell'ora, tra le 20.44 e le 22.11, Pamela Mastropietro era già morta e fatta a pezzi, poi nascosti in due trolley e abbandonati in aperta campagna nella zona industriale di Pollenza, poco distante da Sforzacosta.

In aula, Antony ha negato di aver ricevuto una chiamata alle 23.17 di 20 secondi, come risulta dai tabulati, e di aver incontrato quella sera Innocent per farsi vendere una dose di marijuana ("non la fumo"), come invece risulta dai verbali dell'interrogatorio di Oseghale. L'ultima delle chiamate tra i due "l'ho fatta io, la mattina del 31 gennaio - ha detto Anyanwu - e Innocent mi disse che la ragazza era andata via di casa". 

Le parole dei nigeriani, inizialmente coinvolti nella vicenda e per i quali la procura ha poi chiesto l'archiviazione, "non hanno tolto né aggiunto nulla al quadro probatorio". Lo ha affermato, al termine dell'udienza di oggi, l'avvocato Umberto Gramenzi, legale insieme all'avvocato Simone Matraxia, di Oseghale. "La prossima sarà per noi un'udienza importante", ha aggiunto l'avvocato Matraxia spiegando che saranno sentiti i consulenti dell'accusa.

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La criminologa Bruzzone Infine è stata ascoltata la criminologa Roberta Bruzzone, consulente nominata dall’avvocato Verni, legale di parte civile per i genitori di Pamela, Alessandra Verni e Stefano Mastropietro. La criminologa ha esaminato le patologie psichiatriche di cui soffriva la 18enne e le medicine che stava prendendo, per concludere che, quando era fuggita dalla comunità, era in condizioni di assoluta difficoltà, evidenti poi per chiunque la incrociasse.

"Era evidente l'instabilità di Pamela, non era in condizioni di prestare consenso di fronte all'uso di sostanze stupefacenti o a richieste di sesso - sono le conclusioni della Bruzzone -. Era facile da manipolare e la sua condizione era immediatamente riconoscibile da chiunque ha un paio di occhi e un paio di orecchie, senza specifiche capacità di psicologia o psichiatria". Una personalità quella di Pamela "borderline" e "profondamente deficitaria", per la criminologa, secondo la quale quando é entrata in comunità "ha subito un peggioramento", perché era necessario un trattamento precedente per via dell'assunzione di droga, "che lei non ha seguito".

Da qui rabbia, instabilità e sessualità promiscua. Non solo: "Che nessuno all'interno della Pars si sia accorto che Pamela continuava ad assumere oppiacei mi ha fatto sobbalzare dalla sedia", ha detto in aula Bruzzone. La 18enne romana, insomma "non era in grado di gestire il contesto" della comunita', "era totalmente destabilizzata e assuefatta dalla sostanza e la fuga era l'unico modo per uscire da un contenitore persecutorio". Con "la capacita' critica sospesa" e in una situazione di "angoscia acuta", chiunque avesse incontrato diventava soggetto con "qualita' sovrannaturali", una sorta di "salvatore" del quale essere "in totale dipendenza". Quando ha lasciato la Pars per andare incontro alla morte, insomma, Pamela "era in condizione estremamente compromessa": una situazione che per la criminologa era evidente proprio a tutti.