Pamela Mastropietro, ergastolo confermato per Oseghale

L'urlo dell'imputato alla lettura della sentenza: "Non l'ho uccisa io". La mamma della vittima: "Se sa, parli, mancano ancora i complici"

Innocent Oseghale ha parlato in aula (foto Antic)

Innocent Oseghale ha parlato in aula (foto Antic)

Ancona, 16 ottobre 2020 –  Ergastolo confermato per Innocent Oseghale (video).  "Non sono stato io" ha urlato subito dopo la lettura della sentenza l'imputato ribadendo ciò che aveva detto entrando in aula questa mattina e rendendo dichiarazioni spontanee. Una versione che però non ha evidentemente convinto né i giudici né la mamma di Pamela, in aula anche oggi.

"Non ci credo - ha ribadito la mamma di Pamela una volta arrivata la conferma dell'ergastolo -, se non è stato lui allora che parli. Giustizia fatta? Sì ma mancano ancora gli altri", ha concluso riferendosi appunto ai presunti complici sui quali è stata aperta una nuova indagine

L'avvocato di Oseghale ha annunciato che, una volta lette le motivazioni, presenterà certamente ricorso in Cassazione.

Oseghale aveva dichiarato subito in aula: "Non l'ho uccisa io, non giudicatemi per il colore della pelle". Il suo arrivo intorno alle 10, senza mascherina, che ha indossato prima di sedersi quando gli è stato fatto notare. Si è conclusa con la conferma della condanna in primo grado la nuova udienza ad Ancona del processo per l'omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio 2018 nell'appartamento al 124 di via Spalato, a Macerata.

image

L'imputato, che ha reso dichiarazioni spontanee (video), ha affermato di non aver ucciso Pamela, che lei morì per overdose d'eroina ma ha ammesso di averne smembrato il corpo, abbandonato in due trolley sul ciglio di una strada. La difesa - avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi - ha sostenuto che non è provata la vitalità delle due ferite da coltello, cioè che la ragazza era già morta; ha reiterato l'istanza di una perizia medico legale (e analisi istochimiche) per chiarire questo elemento “dirimente”.

“Ero sotto choc, confuso, ho fatto una cosa terribile - ha detto Oseghale a proposito dell'ammesso smembramento del corpo poi abbandonato in due trolley sul ciglio di una strada - ma voglio pagare per quello che ho fatto, non per quello che non ho fatto”. Il nigeriano aveva chiesto una sentenza “senza pregiudizi”: "Non giudicatemi per il colore della pelle...”.

Per il nigeriano la Procura generale di Ancona aveva chiesto la conferma della condanna all’ergastolo, nel procedimento in corso davanti alla Corte d’assise d’appello. Intanto, la Procura generale ha avocato le indagini aprendo un fascicolo a carico di ignoti, e affidando gli accertamenti ai carabinieri del Ros.

In particolare – come emerso nel corso della requisitoria di mercoledì – l’obiettivo è di ricostruire il ruolo di alcuni personaggi individuati nel corso delle indagini, per accertare chi altri fosse nella mansarda di via Spalato quel giorno. Oseghale, in base a quanto ricostruito finora, da solo in tre ore fece un lavoro da chirurgo, arrivando ad aprire i genitali interni per lavarli con la candeggina che – “cosa che non tutti sanno”, ha rilevato il procuratore generale Sergio Sottani – distrugge il Dna.

Un lavoro enorme, accurato e veloce, accompagnato dalla sparizione di parti del corpo che potevano essere più compromettenti, sarebbe però stato vanificato poi da una serie di errori: un tassista chiamato sotto casa per portare via i trolley con i resti della ragazza, i trolley abbandonati lungo la strada senza neanche nasconderli, e una serie di oggetti di Pamela, tra cui il pellicciotto insanguinato, tenuti a casa anche ore dopo il delitto.