MARINA VERDENELLI
Cronaca

Precipitato per 15 metri: "In quei secondi di volo ho pensato che sarei morto"

Il racconto dell’alpinista Marco Duranti: lo zaino mi ha protetto dall’impatto "Ho temporeggiato: quel chiodo non mi piaceva, è venuto via insieme al sasso".

Marco Duranti, l’alpinista anconetano rimasto ferito sul monte Bove

Marco Duranti, l’alpinista anconetano rimasto ferito sul monte Bove

"Zoppico un po’, ho una microfrattura ad una mano, un taglio grosso, escoriazioni in tutto il corpo, mi fa male tutto ma sto bene per essere uno che è volato per 15 metri abbondanti. Mi è andata molto bene, alla schiena e alla testa non ho avuto niente". A parlare è Marco Duranti, l’alpinista 51enne anconetano che nel tardo pomeriggio di martedì è caduto da una parete della Quinta Piccola del monte Bove, a Frontignano di Ussita, mentre si arrampicava con una compagna di cordata (con tutte le attrezzature si sicurezza, imbrago, corde, moschettoni) per raggiungere la Croce del Bove e godersi da lassù un tramonto fantastico. Duranti è un alpinista preparato, istruttore e accompagnatore Cai, con 20 anni di esperienza. Attorno alle 17 di martedì era partito con Martina, 31enne, per iniziare la via Moretti-Mainini-Perucci, sulla parete sud. Cinque tiri per arrivare alla vetta ma un sasso e un chiodo si sono staccati, facendolo precipitare.

"Ero arrivato a 1.700 metri di altezza – racconta Duranti al Carlino, dimesso dall’ospedale di Camerino nella giornata di mercoledì, con dieci giorni di prognosi – i primi due tiri sono andati bene, il terzo tiro, dove c’è la rottura, mi sono affacciato nel terrazzino, terrificante, 30 metri di parete bianca rotta dove non sai bene dove salire, perché quando io ci sbattevo per sentire come suonava suonava male, un po’ vuota tanto che alla fine ho deciso di passare a sinistra dove ci sono chiodi più vecchi. Il primo chiodo bene, il secondo pure, il terzo chiodo sono stato dieci minuti a guardare, lo levo non lo levo, ci metto la corda non ce la metto, perché non mi piaceva. Purtroppo non avevo con me il martello perché in queste vie corte, già chiodate, il martello forse andrebbe sempre portato anche se nelle relazioni non si dice di farlo. Quel chiodo non mi piaceva proprio, che sensazione a ripensarci. Vado per ripartire da quel chiodo lì, con la corda, metto una mano sul sasso vicino è sono venuti via sia il sasso che il chiodo e quindi sono volato tanto. Paura? Sì l’ho avuta perché quando ho iniziato a volare, sono stati 4-5 secondi, ho pensato ecco adesso sbatto la schiena e la testa e muoio. Martina è stata brava a bloccarmi e mi sono fermato su una cengia. Lo zaino mi ha protetto". È stata Martina a chiamare i soccorsi fornendo le indicazioni per far partire una squadra da terra del soccorso alpino dopo che l’elicottero dell’Aeronautica ha provato per un’ora a raggiungerli dall’alto. "Li ringrazio tutti – dice Duranti – soprattutto Federico Arena, Beppe e Andrea che in poco tempo ci hanno raggiunto. Quella non era una via pericolosa, era stata ripulita dopo il terremoto, regolarmente aperta, messa in sicurezza anche se ora mi rendo conto che messa in sicurezza è una parola grossa. In 20 anni di alpinismo non mi era mai successo nulla di così grave. Rimane il pensiero della caduta ma ripartirò per questo mondo che mi piace tanto. L’esperienza mi è servita perché dove si dice roccia friabile non andrò più".