Protesta, c’è chi dice sì "Non ho nulla da perdere"

Andrea Orazi del Quartino: aperto e con le luci accese, così non si va avanti. Ma Confartigianato frena: "Speriamo prevalga la volontà di rispettare la legge"

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di Marta Palazzini

"Aderirò all’iniziativa, lascerò il ristorante aperto con le luci accese: tanto se mi faranno chiudere non cambierà niente, perché siamo già sommersi dai problemi". Andrea Orazi, titolare de "Il Quartino" di Macerata, conferma che probabilmente aderirà anche lui all’iniziativa nazionale in programma domani, dal nome "Io apro 1501", una manifestazione di "disubbidienza civile" con cui la categoria dei ristoratori vorrebbe porre all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica i gravi disagi causati alle attività di ristorazione non solo dalla pandemia, ma anche dai dpcm e dalle restrizioni. Sebbene anche Orazi sia piuttosto convinto che non ci sarà gente, per lui è importante comunque lanciare un segnale di protesta. "Aderirò all’iniziativa: qui o si muore di Covid o di fame – protesta il titolare del Quartino –. Io sono d’accordo a tenere aperto: con le aperture a singhiozzo è impossibile lavorare e con i ristori non ci pago nemmeno l’affitto. In questo momento siamo in un mare di guai. Perciò, se come categoria possiamo fare qualcosa per protestare, lo faccio, a rischio che mi vengano a chiudere il locale: indubbiamente siamo stati penalizzati per tutto il 2020". Altri ristoratori, pur sposando le ragioni della protesta, preferiscono non prendere parte all’iniziativa. "Non lavoriamo da tre mesi, è una perdita quantificabile col 99% del fatturato: il nostro è indiscutibilmente il settore più colpito con problemi quasi insormontabili da risolvere – aggiunge Paolo Bragoni del Pozzo –. Forse, però, è una forzatura riaprire per protesta, visto anche che non ci sarà nessuno: noi continueremo con l’asporto e le consegne a domicilio". "Per i mesi che vengono siamo più che preoccupati, non so come arriveremo all’estate, e di fame non possiamo morire: quale attività si può permettere di rimanere ferma per tre mesi – incalza –? In questi mesi, ci sono stati solo piccoli interventi a fondo perduto, con cui non abbiamo pagato neppure un affitto". Tra i ristoratori, c’è anche chi ha deciso di lavorare con l’asporto solo nei giorni delle festività, poi non ha più riaperto. "Noi non apriremo, anche perché siamo fermi dal 31 dicembre: aspettiamo di capire che cosa ci aspetta con le prossime decisioni – ha detto Andrea Ciccioli de La volpe e l’uva –. Non è che si può aprire e chiudere un ristorante a singhiozzo, perciò in queste giornate in cui si alternavano la zona rossa, arancione e gialla, non abbiamo aperto per niente. La cena, che era il nostro momento, ce l’hanno tolta, e se ci tolgono anche il week-end, non ha senso riaprire". "Sicuramente non poter lavorare la sera con la pizza al tavolo è un grande disagio – aggiunge Costanza Catalano, titolare di Lievitaria –. Bisogna tenere duro, nella speranza che presto si possa tornare a una situazione normale". Visto il fermento che si è scatenano intorno all’iniziativa "Io apro", Giorgio Menichelli, segretario generale di Confartigianato, ha lanciato un appello alla categoria. "Stiamo seguendo con molta preoccupazione il tam tam della campagna #ioapro1501. Speriamo che questa manifestazione si esaurirà come provocazione, e ci auguriamo che la volontà di rispettare le leggi prevalga sull’intenzione di tenere aperto a tutti i costi – ha sottolineato –. Pur comprendendo i malesseri della categoria, non possiamo che esprimere contrarietà verso fenomeni che seguono metodologie illegali. Questo modo di fare getta ombre nel settore del commercio, perché crea le basi per un contrasto tra chi rispetta le norme e chi no. Le aperture di pancia si contrappongono anche al bene dei clienti, perché sono messi a rischio di sanzioni salate, oltre che di contagio". "Non rispettare i decreti – ha detto ancora Menichelli –, per quanto possano sembrare ingiusti, è un messaggio che contrasta con la professionalità, di tale settore".