Rigopiano, i genitori di Emanuele Bonifazi: "Morto sul lavoro, dall'Inail solo 2.100 euro"

Dolore senza fine, "Sarebbe stato più rispettoso non darci nulla"

Emanuele Bonifazi, aveva 31 anni

Emanuele Bonifazi, aveva 31 anni

Macerata, 17 gennaio 2018 - Uno strazio senza fine. Dodici mesi dopo la tragedia dell’hotel Rigopiano a Farindola (Pescara), dove una valanga ha spazzato via l’albergo e ucciso 29 persone delle 40 rimaste intrappolate, il dolore per la perdita non accenna a placarsi. Solo, viene condiviso con gli altri famigliari, e allora sembra appena appena più lieve da sopportare. Ma poi capita di ricevere un assegno funerario dall’Inail per morte sul lavoro, come quello che si sono ritrovati Egidio Bonifazi e la moglie Paola Ferretti, genitori di Emanuele, di Pioraco, che aveva 31 anni quando è morto sotto le macerie dell’hotel: era dipendente del Rigopiano, dove faceva il receptionist da anni.

Ai Bonifazi è arrivato un assegno da 2.100 euro per la morte del figlio. Più la possibilità di avere a disposizione uno psicologo. Offerta che loro hanno gentilmente rifiutato. «Una cosa vergognosa – sottolinea Egidio –, sarebbe stato meglio che non ci avessero dato nulla, almeno sarebbe stato più rispettoso, sicuramente più dignitoso. Se il riconoscimento della morte deve esserci, che ci sia per bene. Oppure non ci sia affatto. È assurdo vedersi consegnare 2.000 euro, dopo quanto è successo. Questa sarà la nostra prossima battaglia, da portare avanti con tutte quelle famiglie che vorranno unirsi, a cui è toccata la stessa sorte, di perdere qualcuno sul lavoro».

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Nel ribadire con forza che «quella strage si poteva evitare», Egidio fa notare che «gli ospiti erano pronti a partire. Ben diverso era per Emanuele. Lui no, non poteva neanche andarsene, essendo dipendente dell’hotel. Non aveva scelta». Bonifazi, dei soldi raccolti con le offerte al funerale, ha devoluto 3.200 euro al soccorso alpino nazionale e 1.600 al canile di Camerino: «Erano entrambi atti dovuti – aveva commentato Egidio –, mio figlio avrebbe voluto così». Della «lotteria», come la chiama Egidio, cioè di quei sette, infiniti giorni trascorsi all’ospedale di Pescara, nel limbo, in attesa di qualsiasi notizia, di un segnale di vita da sotto le macerie, di tutto quel tempo oggi il ricordo non è meno nitido. «La differenza rispetto all’anno scorso – dice Bonifazi – è che abbiamo un po’ più di fiducia. Prima c’era più rabbia, ma resta il fatto che la strage si poteva evitare. Sarebbe bastato uno spartineve, e sarebbero stati liberi. La natura aveva fatto il suo corso, quel giorno. Li aveva avvertiti, con le scosse di terremoto. Non è stata colpa della natura, è stato l’uomo a causare un disastro».

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«Pur essendo in un posto un po’ isolato, Emanuele non perdeva occasione di vivere la sua gioventù – racconta la mamma, Paola, nello speciale andato in onda l’altro ieri sul canale Nove –. Ci siamo subito attivati ma non riuscivamo a sapere niente, nessuno era in grado di darci una spiegazione. Chiamammo tutti quella sera. Nessuno sapeva niente». «In questi dodici mesi – spiega Egidio – con gli altri familiari delle vittime siamo diventati una famiglia. Ci sentiamo e ci scriviamo ogni giorno. E il dolore sembra leggermente più lieve, quando è così tanto condiviso». L’inchiesta della procura di Pescara, che era stata aperta dall’allora procuratore Cristina Tedeschini insieme al pm Andrea Papalia, e ora portata avanti da quest’ultimo e dal nuovo procuratore, Massimiliano Serpi, a oggi conta 23 indagati.

«C’è ancora tanta ansia, c’è ancora attesa da parte dei famigliari – sottolinea l’avvocato Alessandro Casoni, legale dei Bonifazi –, l’inchiesta è lunga e farraginosa. Provo a spiegare ai miei assistiti che in Italia sono questi i tempi e i ritmi dettati dal codice di procedura penale. La procura di Pescara aveva detto che avrebbe chiuso le indagini entro un anno dalla tragedia, ma recentemente in seguito agli interrogatori sono emersi nuovi filoni, che vanno necessariamente approfonditi, per cui ci vorrà più tempo».

ANSA

Egidio, Paola ed Enrico, il fratello di Emanuele, insieme a tanti amici, sono in partenza per Farindola: domani, a un anno esatto dalla tragedia, si svolgerà nella vicina Penne una cerimonia per tutte le 29 vittime. Dopo il saluto del vescovo di Pescara monsignor Tommaso Valentinetti, ci sarà a benedizione delle 29 piante di leccio messe a dimora dalla pro loco in collaborazione con il Comune. Ciascuna famiglia porterà da casa un po’ di terra da mescolare, simbolicamente, a Rigopiano con quella degli altri familiari. Poi ci sarà una lettura di poesie. Si esibiranno cori, tenori e soprani, e la commemorazione proseguirà fino alle 18 con personalità dello spettacolo e del mondo della cultura. I cittadini, e tutti i soccorritori intervenuti in quei giorni, sono invitati a partecipare.

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