"Rigopiano, strazio infinito: dateci risposte"

I familiari di Emanuele Bonifazi e Marco Tanda: "Ennesimo stop, sei anni di nulla". Appello al ministro: "Si acceleri col processo"

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di Chiara Gabrielli

Da sei anni porta al collo la catenina con la foto del figlio, non la toglie mai. Ogni mattina si sveglia con un dolore difficile da sopportare e ogni giorno combatte perché il suo angelo possa avere giustizia: Paola Ferretti, la mamma di Emanuele Bonifazi, continuerà sempre la sua battaglia, fino alla fine, mille volte lo ha detto e mille volte lo ha giurato. Il suo Emanuele, di Pioraco, è morto a 31 anni mentre lavorava come receptionist all’hotel Rigopiano (Farindola, Pescara): è una delle 29 vittime della strage avvenuta il 18 gennaio del 2017.

Ferretti lancia ora un appello al neo ministro della giustizia Carlo Nordio: "Si acceleri con il processo, non è possibile andare avanti in questo modo". La mamma di Emanuele non sta bene in questi giorni, "un malessere nell’animo e fisico, che ormai mi logora, sempre mi accompagna da quando ci è capitato questo – prova a spiegare –. I nostri angeli sono state vittime dell’indifferenza delle istituzioni, noi siamo vittime di un sistema giudiziario cavilloso e farraginoso che ancora non riesce a dare giustizia ai 29 morti della strage di Rigopiano". E il processo vero e proprio con 30 imputati (29 persone e una società) ancora non parte: "È un gioco al massacro – sottolinea Ferretti –. Abbiamo passato questa estate, l’ennesima, a contare i giorni. Dal 29 aprile siamo stati in attesa delle udienze del 26, 27 e 28 ottobre, che poi sono state rimandate per l’astensione degli avvocati. Da sei anni, quasi, aspettiamo qualcosa di concreto, l’attesa è logorante, ma gli ultimi mesi sono stati i più massacranti, erano in programma udienze importanti e ci avevano promesso il giudizio di primo grado entro la fine dell’anno. Da mercoledì a venerdì prossimi è in programma la discussione della perizia chiesta dal giudice, perizia che peraltro va nella direzione di quanto abbiamo sempre detto, e cioè che se fosse stata redatta una carta di localizzazione delle valanghe l’albergo non sarebbe rimasto aperto d’inverno perché il rischio era troppo elevato, poi che non poteva essere costruito in quel punto e che i soccorsi sono partiti in ritardo. Sul terremoto resta invece sul vago e non scioglie i dubbi".

La delusione: "Mai avrei potuto immaginare che, dopo quasi sei anni dalla strage, saremmo stati ancora qui, nella fase dei preliminari. Da subito, mi sono affidata alla legge come un bimbo si getta nelle braccia della mamma per chiedere aiuto, sicura che avrei trovato giustizia e conforto. Oggi, invece, mi sento derisa, mi sento maltrattata dalla giustizia. Stanno mortificando 29 persone innocenti. Come madre sono arrabbiata, come cittadina schifata. Vivo nell’ansia e nell’angoscia, e inizio a perdere la speranza". Cosa chiede? "Se potessi decidere io, pene severe e certe. Ma tutto questo non succederà. In Italia, le parole ’abbreviato’ e ’colposo’ non portano al carcere, è tanto se qualcuno uscirà dal tribunale, un giorno, con l’etichetta di ‘colpevole’. Noi familiari da sei anni siamo condannati all’ergastolo, mentre i responsabili non vedranno nemmeno la prigione. Per fortuna ho mio marito Egidio, l’altro mio figlio, la mia nipotina. Ma dentro sono morta, non sono più la stessa persona".

Anche Luca Tanda, presidente del comitato vittime di Rigopiano e fratello di Marco, pilota Ryanair morto a 25 anni sotto le macerie del resort, non può darsi pace: "L’attesa logora. Non è tanto il fatto di dovere aspettare dei mesi, ma di aspettare per poi aspettare ancora. Vergognosa l’astensione degli avvocati, che ha causato il rinvio. Avrebbero potuto anticipare o posticipare lo sciopero, visto che si sta celebrando uno dei processi più importanti e complessi d’Italia. Anni fa, quando tutto è iniziato, era qualcosa di impensabile immaginare che ancora oggi saremmo stati fermi a questo punto. Il primo grado di giudizio entro l’anno? Così ci era stato detto, ma noi dubitiamo che succederà. Si crede che magari col tempo il dolore si affievolisca, ma non è vero, resta sempre uguale. Dal primo giorno, noi familiari abbiamo sempre gli stessi occhi lucidi, la stessa sofferenza stampata addosso. Non passa più. A mia madre evitiamo persino di far sentire il nome ‘Rigopiano’, perché già solo questo le fa cambiare espressione, la getta in uno stato di profonda angoscia, la fa stare male". Quei giorni, Marco Tanda si era portato da studiare all’hotel di lusso di Rigopiano: stava per diventare comandante. "Gli mancava solo l’esame finale, era il migliore del suo gruppo – ricorda il fratello Luca –, ancora oggi i suoi amici non hanno svuotato il suo armadietto di lavoro. Mio fratello era la punta di diamante della famiglia. Era andato lì in hotel proprio il giorno prima, il 17, e per una sola notte. Certo, quello è destino, ma una montagna che viene giù, quello no, non può essere chiamato destino, è una tragedia che si poteva evitare". E anche lui promette: "Combatteremo sempre, cito spesso il caso Cucchi, se non era per la sorella Ilaria non si sarebbe mai arrivati a un risultato. Ecco perché l’ultima volta, ancora una volta, noi familiari c’eravamo tutti in tribunale, è importante essere presenti".