Rigurgito di attenzione verso la critica

Pierfrancesco

Giannangeli

Curiosamente, perché di solito ormai non si fa più, nei giorni scorsi si è parlato in diverse occasioni della funzione e del valore della critica giornalistica, applicata nei vari settori in cui la facoltà del giudizio può venire esercitata. Se n’è discusso, anche con toni accesi, all’interno di una polemica, e se n’è parlato pure in riflessioni più ampie sul tema. Fenomeno interessante, questo di pensare la critica, in un’epoca in cui - complici ovviamente i social - si tende all’affermazione bianca o nera, dimenticando che il mondo e la vita sono una lunga teoria di sfumature del grigio: certo, bisogna saperle cogliere, altrimenti non ce se ne accorge proprio. E individuare le scale cromatiche è una finezza non per tutti. Allora, va salutato con affetto questo improvviso rigurgito di attenzione verso la critica, anche se probabilmente già dai prossimi giorni non se ne parlerà più e tutto ritornerà a essere bianco o nero: un mondo semplice, ma di un piattume mortale, poiché la complessità, necessaria per individuare i particolari che fanno la differenza, ne viene esclusa.

In fondo, le parole che sono state spese costringono a interrogarsi sul ruolo del critico, prima di tutto per capire se questa figura esiste ancora. Forse, nel definirlo, a quasi cento anni di distanza, ha ancora ragione Adriano Tilgher, l’esegeta del teatro di Pirandello, che nel concludere una polemica a distanza con un collega paragonava il critico al gabbiano "che vola sulle ali del vento e annuncia la tempesta all’orizzonte". Cioè, per lui era una figura che, grazie a conoscenza e sensibilità, era capace di individuare in un’opera i segni del futuro e segnalarli. A questa qualità potremmo aggiungere la curiosità e il lasciarsi stupire, elementi necessari per cogliere e comprendere le vere novità. Adesso resta da capire se gli strumenti tradizionali (ormai anche il web lo è) sono sufficienti, oppure bisogna inventare una nuova narrazione.