Samara Challenge a Civitanova. "Paura e social, mix esplosivo"

La docente universitaria Paola Nicolini sul gioco horror che spopola tra gli adolescenti: "È un fenomeno passeggero, come il Blue Whale"

Ragazza nei panni di Samara del film 'The ring'

Ragazza nei panni di Samara del film 'The ring'

Civitanova (Macerata), 5 settembre 2019 - Continui rimandi al mondo della paura che si mixano alla spasmodica ricerca del consenso da parte del gruppo che viene amplificata dai social. È questa «la bomba» in mano agli adolescenti, raccontata dalla professoressa Paola Nicolini, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università, di cui il Samara Challenge è solo l’ultima rappresentazione.

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Paola Nicolini, docente dell’Università di Macerata
Paola Nicolini, docente dell’Università di Macerata

Professoressa perché si pensa alla paura?

«La paura è una delle prime reazioni che abbiamo dalla nascita, fa parte della parte più istintiva e primitiva dell’uomo, come quando da bambini si giocava a nascondino e si usciva fuori per fare paura agli altri. Siccome la paura nasce da queste reazioni primordiali ha un impatto immediato su chi la subisce e dà una sensazione di momentano senso del potere all’artefice. Per questo i più esposti a questo tipo di comportamenti, supportati dai social, sono gli adolescenti. E’ un fenomeno che crea allarmismo, perché indica che i ragazzi non fanno i conti con la realtà, godono all’idea di suscitare terrore e non si «curano» degli altri. Il tutto è amplificato dai social, che rimandano un protagonismo facile fatto di like».

Perché l’adolescente è più esposto?

«Perché è alla ricerca di consenso e dell’approvazione da parte dei gruppi di riferimento e perché è in fase critica nella costruzione della propria immagine di sé».

Cosa può fare un genitore nel momento in cui scopre il proprio figlio fare certe cose?

«Innanzitutto chiedere e porsi in ascolto delle motivazioni che hanno spinto quel tipo di comportamenti, perché la tentazione sarebbe quella del rimprovero, ma senza la comprensione da parte del ragazzo dell’inutilità e della dannosità sociale delle proprie azioni, anche l’eventuale punizione sarebbe vanificata. La riflessione nel dialogo aiuta a essere vicini ai figli, non tanto per scusarli o passare sopra a un fatto con una valenza che non indica gli aspetti migliori della partecipazione alla vita civile, ma per identificare le motivazioni che hanno portato a una certa azione e adeguare i provvedimenti che ne conseguono in modo utile alla revisione, che porta a dire: “Non lo faccio più’’».

Perché si cercano sempre modelli negativi?

«Far ridere richiede molto più impegno, costruire una relazione positiva ha bisogno di un progetto più razionale e di competenze articolate. L’horror e la potenzialità di diffusione dei comportamenti attraverso i social, diventano una bomba esplosiva in mano ad adolescenti poco inclini alla riflessione e alla pianificazione delle azioni secondo modelli positivi».

E se a travestirsi non fossero adolescenti?

«Per gli adulti può essere una forma di evasione e di disimpegno per cercare di stupire, una sorta di regressione a comportamenti primordiali».

Il Samara Challenge sarà un fenomeno passeggero?

«Fino a poco tempo fa c’era il Blue Whale, però adesso se ne sente parlare sempre meno, perché i social tendono a divorare tutto in poco tempo. Sono fenomeni che impattano sulle persone più fragili, ma che sono destinati a sparire nel breve tempo, per essere sostituiti, probabilmente, da altro».

Come si può rispondere a queste “mode horror”?

«Con un sostegno alla genitorialità e a stili educativi di tipo assertivo, che puntano sulla costruzione delle capacità di prendere decisioni non sulla base della prima cosa che passa per la testa. Oggi siamo di fronte alla società del qui ed ora, adesso mi va di fare una cosa e la faccio, senza pensare alle possibili conseguenze. Anche noi adulti spesso siamo fautori di tutto questo, perché, pensando ad Halloween, abbiamo reso lecito e normale una serie di attività basate sulla paura. La commercializzazione non guarda in faccia nessuno, e spesso mina le poche capacità di autogoverno che hanno a disposizione gli adolescenti».