Se la politica dimentica la scuola

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Alessandro

Feliziani

Mercoledì prossimo avrà inizio il nuovo anno scolastico e i sindacati hanno già lanciato il loro grido d’allarme su problematiche che si ripetono puntualmente ogni anno, a cominciare dalla mancanza di insegnanti. Già questo, con una popolazione scolastica che si riduce per il calo demografico, la dice lunga su come la scuola sia stata oggetto nel tempo di una seria programmazione.

La scuola non è stata finora nemmeno al centro della campagna elettorale, salvo a fine agosto, quando ha avuto un minimo di attenzione al Meeting di Rimini. In questi giorni – dato l’imminente avvio delle lezioni – si sono sentiti sporadici accenni: “libri di testo gratuiti fino alle superiori”, “allungamento dell’obbligo scolastico”, “aumento degli stipendi degli insegnanti”. Frasi pronunciate quasi a mo’ di spot elettorale per raggiungere alcune fasce di elettorato: genitori ed insegnanti. Eppure la scuola riguarda tutti, poiché il futuro di un Paese passa inevitabilmente attraverso la funzione educativa e formativa del sistema scolastico.

Anni fa, in un saggio sul boom economico italiano, lo scrittore Alfio Caruso scriveva che nel 1960 gli studenti di elementari, medie e licei erano coscienti che con il diploma avrebbero avuto una vita migliore dei loro genitori. Oggi, benché il confronto per molti non valga più, c’è la sensazione che i giovani non abbiano piena coscienza del valore dello studio.

Se l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo (Invalsi) è arrivato a certificare che al termine del ciclo di studi uno studente su due risulta sostanzialmente impreparato, è forse il caso di chiedersi perché e dove le riforme scolastiche di questi ultimi sessant’anni abbiano fallito.

Una seria riflessione sulla scuola dovrebbe farla subito il nuovo Parlamento e se nel futuro governo ci sarà un ministro che ama gli slogan si ispiri almeno a Tony Blair, il quale si candidò a guidare il suo Paese indicando tre priorità: istruzione, istruzione, istruzione.