Siamo diventati ’smombie’ anche per la Treccani

Pierfrancesco

Giannangeli

Adesso lo dice pure la Treccani, quindi è ufficiale: esistono gli "smombie" e sono tra noi. In realtà, ce ne eravamo accorti. Anzi, siamo noi. Sì, perché il neologismo - che poi tanto neo non è perché la definizione apparve per la prima volta in Germania nel 2008, e questo non fa che aggravare la situazione, perché avremmo già dovuto trovare le contromisure - in sostanza, significa questo: "Chi cammina per strada senza alzare lo sguardo dallo smartphone, rischiando di inciampare, scontrarsi con altre persone, attraversare la strada in modo pericoloso". Se guardiamo la foto del prototipo di smombie che ci restituisce il termine entrato ora nel vocabolario della Treccani tra i neologismi nuovi di zecca, è molto probabile che finiamo per riconoscere noi stessi.

Sia che l’abbiamo fatto una volta, magari per caso (ma forse no), sia che ci venga spontaneo e lo consideriamo atteggiamento normale, smombie lo siamo stati, lo siamo e continueremo a esserlo un po’ tutti. Certo, la parola non è proprio un complimento, componendosi, come è facile intuire, di smartphone e zombie, cioè i morti viventi che girano per strada con lo sguardo perso nel vuoto: insomma, assenti e totalmente insensibili a tutto.

E’ un vocabolo che gli specialisti chiamano "macedonia", proprio perché fonde tra loro elementi di origine diversa, ma in questo caso è proprio una macedonia avariata. A non riuscire a staccare il muso da quello schermo neanche quando si cammina per strada, neanche lontanamente incuriositi da paesaggi e persone, correndo i più svariati rischi, non è che ci si faccia una gran figura. D’altra parte, che ormai consideriamo lo smartphone un’appendice dell’arto, quindi come qualcosa che abbia una certa vita, è cosa nota. Basta guardare le reazioni poco composte (sì, è un eufemismo) che si registrano pressoché quotidianamente quando ci chiedono di separarcene anche per poco tempo, solo per qualche oretta, una miseria. Sarà il progresso?