Sla, il coraggio di una donna di Macerata. "Non voglio arrendermi"

Il racconto: vado avanti e spero nella medicina

Sla, il coraggio di una donna malata: "Vado avanti" (foto d'archivio Frascatore)

Sla, il coraggio di una donna malata: "Vado avanti" (foto d'archivio Frascatore)

Macerata, 15 settembre 2019 - Parlare pubblicamente della propria malattia è un grande atto di coraggio. E chi ascolta si sente subito molto piccolo rispetto alla forza di chi racconta come ogni giorno combatte e si attrezza per convivere con la malattia. Lorella Biondi è una giovane donna, sposata, che vive con il marito in un piccolo centro dell’entroterra maceratese. È malata di Sla, ma determinata. «Non voglio dargliela vinta», dice riferendosi alla malattia.

Quando è cominciato tutto questo?

«Circa cinque anni fa – dice –. Tutto è partito da un piccolo dolore al piede, che era apparentemente inspiegabile. Quindi, ho iniziato a fare una serie di esami e di accertamenti. E purtroppo mi sono state fatte anche delle diagnosi, che mi hanno comportato persino una operazione al ginocchio. Il problema, purtroppo, non era quello. E infatti c’era ben altro».

Quando ha saputo di avere la Sla, come ha reagito?

«All’inizio non mi sembrava vero. Poi, pian piano, ho iniziato a realizzare che si trattava di una realtà con cui dovevo fare i conti. Mi hanno detto che, nella sfortuna, la mia era una forma lenta. Così, da quel momento, non penso al domani, vivo alla giornata, mescolando incazzatura e grinta per andare avanti. Voglio godermi ogni giorno della mia vita, sperando che la ricerca prima o poi trovi il modo, se non di guarire, almeno di bloccare questa malattia».

Rispetto all’inizio che cosa è cambiato?

«Oggi sono su una sedia a rotelle, ma riesco a condurre una vita sostanzialmente normale, nel senso che riesco più o meno a fare tutto. Mi sento battagliera. Sono convinta che il cervello può tutto. In verità, non sono poi così forte, ma certo alla malattia non voglio darla vinta. Se ci si abbatte, è finita. E ogni giorno mi reco al lavoro».

Qual è il suo lavoro nonostante la malattia?

«Lavoro in un asilo nido. Fino a due anni fa avevo il mio gruppo di bambini. Oggi supporto l’attività delle mie colleghe».

Ci sono problemi con i bambini?

«Assolutamente no. I più grandi hanno due anni e mezzo, al massimo tre. Mi vengono sempre in braccio, sono sereni e tranquilli, spontanei e anche sinceri».

È cambiato l’atteggiamento degli altri una volta che si è ammalata?

«Quello di coloro che mi erano e mi sono vicino assolutamente no. Anzi, sostengono me e mio marito nell’affrontare la situazione. Mi sono di grande aiuto. Gli altri, invece, se ti incontrano, magari fanno finta di non vederti. Ma ritengo sia un atteggiamento dovuto al disagio che vivono: sono dispiaciuti della situazione che vivi, ma non sanno che dirti. Si sentono in imbarazzo, cercano di evitare. Li capisco, perché è una situazione che ho vissuto anche io, vedendo finire su una sedia a rotelle le persone anche molto giovani».