"Spiazzati dal virus, ma il Paese saprà reagire"

L’economista Marco Magnani: "Conseguenze pesanti, l’incertezza è il fattore più pericoloso. Gli italiani dovranno dare il meglio".

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di Franco Veroli

"Purtroppo, la verità è che non andrà tutto bene, siamo di fronte a una situazione senza precedenti", ha detto nel pieno della pandemia. Oggi conferma questo suo giudizio?

"L’emergenza sanitaria finirà quando, speriamo presto, avremo un vaccino. Tuttavia, le conseguenze economiche saranno pesanti e gli effetti duraturi. Crollo del pil, incremento del debito pubblico e soprattutto aumento della disoccupazione potrebbero produrre forti tensioni sociali. Molto elevato è anche il rischio di indebolimento della classe media e di aumento della diseguaglianza. Entrambi i fenomeni potrebbero avere rilevanti conseguenze sociali e politiche. Un motivo di ottimismo viene dal fatto che storicamente, a fronte di grandi difficoltà, il nostro Paese, imprese, artigiani e lavoratori, ha sempre mostrato grande resilienza e di saper reagire. Ancora una volta gli italiani dovranno dare il meglio di sé".

Non è la prima volta che si presenta una pandemia. Quali sono i tratti specifici di questa?

"Da un lato, grazie al progresso medico-sanitario, il numero di decessi sarà inferiore rispetto a molte pandemie del passato. La peste nera del ‘300 uccise 20 milioni di persone, un terzo della popolazione europea del tempo. Le ondate della "spagnola" tra 1918 e 1920 contagiarono 500 milioni di persone su una popolazione mondiale di 2 miliardi e causarono tra 50 e 100 milioni di morti. Dall’altro lato, tuttavia, sul fronte psicologico, il Coronavirus ci ha completamente spiazzato. Grazie all’enorme progresso tecnologico e scientifico degli ultimi decenni, infatti, l’uomo pensava di poter dominare qualsiasi fenomeno. Non aveva paura di nulla e si riteneva quasi invincibile. Ma il virus ne ha messo in risalto, e in pochi mesi, le tante fragilità".

Lei ha detto che "l’incertezza è il fattore più pericoloso per l’economia". Siamo sempre, come ha specificato citando il poeta inglese Auden, nell’età dell’ansia?

"Il Coronavirus ha alimentato la paura e un senso di ansia collettiva. Ma, al di là della pandemia, viviamo da tempo nell’età dell’ansia. Ciò in parte è dovuto alla rapidità dell’informazione. Oggi infatti siamo al corrente, in tempo reale, di tutto ciò che accade in ogni angolo della terra. E questo eccesso di informazione crea ansia, anche quando gli eventi non ci toccano direttamente. Altro fattore che crea ansia, che analizzo nel mio ultimo saggio ‘Fatti non foste a viver come robot’ (Utet, 2020), è la rapidità nella diffusione della tecnologia, che muta drasticamente il modo di vivere e lavorare".

Ci saranno grandi cambiamenti tra i quali, a suo avviso, quello di una progressiva deglobalizzazione. Cosa intende?

"Il virus ha messo a nudo la fragilità della globalizzazione e delle catene del valore internazionali, le supply chain. La pandemia sanitaria e le conseguenze economiche non rappresentano la fine della globalizzazione, ma segnano la fine di un trentennio dorato per la globalizzazione. Nel prossimo futuro ci sarà più attenzione nella delocalizzazione delle attività produttive e nella costruzione delle catene globali del valore, per renderle meno vulnerabili e più vicine ai mercati di sbocco. Ci sarà anche un’accelerazione della tendenza, già in essere, al reshoring, cioè al rientro di alcune produzioni nei Paesi di origine, specie nei settori strategici. Ciò creerà opportunità di crescita e occupazione, a patto che i nostri territori sappiano coglierle".