
Barbara Rossi, psicologa dello sport
A Macerata è dovuta intervenire la polizia nel dicembre scorso per portare la calma in una partita giovanile di basket, ma le cronache nazionali registrano altri episodi di intolleranza. "La radice – spiega la maceratese Barbara Rossi, psicologa dello sport – nasce dalla iper competitività che tocca non solo lo sport ma anche la scuola dove ci sono episodi in cui i genitori non accettano il voto basso del figlio o la bocciatura".
Rossi, ma perché nello sport sono più frequenti simili casi?"Perché lo sport è di per sé competizione e per certi versi è l’ambiente ideale per questo tipo di estremismi".
Qual è il principale problema che spinge verso questa deriva?"La perdita di vista da parte dell’adulto del bisogno del bambino, che non è vincere. Ho tanti esempi di chi ha lasciato l’attività sportiva e ha il garage pieno di trofei vinti nelle giovanili. La vittoria non è formativa a differenza della crescita e del miglioramento del bambino". Qual è il bisogno di un bambino?"Avere un ambiente sereno, apprendere, strutturare una personalità forte, fare fronte alle difficoltà in maniera autonoma, socializzare, fare esperienza, imparare a superare progressivamente le piccole difficoltà. Ci sono ragazzini avviati alla iper competitività, ma anche iper protetti e ciò fa perdere loro la sicurezza".
Un figlio può essere condizionato negativamente da un genitore troppo presente nella vita sportiva del figlio?"Dipende da cosa si intenda per presenza. Non è negativo quel genitore – spiega Rossi, coordinatrice nazionale dell’area psicopedagogica del settore tecnico della Federcalcio – che sta nel suo ruolo e che assiste come spettatore, il problema è quando vuole diventare protagonista appropriandosi del gioco del figlio".
In che senso un genitore si appropria del gioco del figlio?"Cioè quando attira su di sé l’attenzione, quando non capisce che la vittoria di un figlio di 10 anni non sia rilevante, ma a quella età è importante che si diverta, che migliori".
Cosa può dare uno psicologo dello sport al fianco di un allenatore, di un genitore e di un giovane atleta?"La consapevolezza di capire quali sono i reali bisogni dei bambino e come strutturare un’attività che possa soddisfarli. In un settore giovanile il primo aspetto è la salute fisica e mentale. Si deve andare volentieri a fare sport, in modo naturale, libero, in cui la parte agonistica sia sviluppata senza pressione. La gara non deve essere vissuta come momento traumatico o di sofferenza".
Le è mai capitato di lavorare per arginare questi fenomeni?"È successo. Si cerca di non giudicare perché ognuno prova a fare il meglio per il figlio. Incontriamo persone e con loro ragioniamo sulle conseguenze di un comportamento o di un altro, a volte lavoriamo assieme per un decalogo, ma è importante portare informazione e consapevolezza per creare tutti insieme un ambiente adatto".
Qual è la molla che spinge un genitore a trasformarsi sugli spalti?"Sono tante, dipendono dal vissuto e dai valori. Ci sono anche le motivazioni migliori di chi pensa che in questa maniera spinga il figlio a una vita migliore, c’è anche chi si identifica nel figlio affinché realizzi ciò che a lui non è riuscito. L’importante è non giudicare chi commette simili errori perché certi comportamenti nascono con i migliori presupposti".
Come si garantisce il diritto di un bambino a non essere un campione?"Mi sembra – conclude Rossi, che è anche responsabile dell’area mentale della Vero Volley Monza Milano – che uno su 50mila diventa un calciatore professionista, in altri sport il numero si abbassa. La stragrande maggioranza quindi farà sport per diletto e per salute. Occorre capire che la maggioranza ha diritto di un passaggio nello sport sereno e senza avere traumi. Ha incominciato in ambiente sereno chi ha carriere lunghe".