Traini e il lavoro in biblioteca. Attesa per la Cassazione

Il 3 febbraio del 2018 gli spari contro gli immigrati. Il "Lupo" sta scontando la pena a Montacuto: ha abbandonato l’idea di laurearsi

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Con il lavoro in biblioteca, Luca Traini passa i giorni nel carcere di Montacuto dove si trova da tre anni, da quando cioè decise di vendicare a modo suo l’omicidio di Pamela Mastropietro, sparando in strada a tutti i ragazzi di colore che incrociava in auto. Per quel fatto, il maceratese 31enne è stato condannato in primo grado e in appello a 12 anni di reclusione, per il reato di strage aggravata dai motivi di odio razziale. Il 24 marzo ci sarà l’udienza finale in Cassazione, dove la difesa chiede di riqualificare l’accusa in lesioni o, al massimo, in sei tentati omicidi. La mattina del 3 febbraio,Traini sentì alla radio le ultime notizie sul macabro omicidio della 18enne. Prese la sua Glock e partì in auto, a Macerata, Sforzacosta e Casette Verdini sparò per circa tre ore a tutti i giovani di colore che incontrava, secondo lui tutti spacciatori e dunque tutti colpevoli della morte della 18enne romana. Poi si fermò sotto al monumento ai Caduti, dove fu arrestato dai carabinieri. Dopo le sentenze delle corti di assise di primo grado e di appello, l’ultima parola toccherà alla Corte di Cassazione, sui rilievi mossi dagli avvocati Giancarlo Giulianelli e Franco Coppi. Intanto Traini per il momento ha messo da parte il desiderio di laurearsi in storia, anche per via delle difficoltà dovute al Covid. Si sta però impegnando con il lavoro in carcere, in particolare in biblioteca. "Il giorno dopo l’arresto – ricorda l’avvocato Giulianelli – Lucia Annunziata aveva invitato nella sua trasmissione Pietro Grasso e Giorgia Meloni. La giornalista chiese a Grasso cosa pensasse della strage di Macerata, e io sobbalzai: ero uscito la notte precedente dalla caserma dei carabinieri con l’accusa di sei tentati omicidi. Chiamai il procuratore per chiedergli se fosse diventata quella l’accusa, e lui lo confermò. Mi sono sempre chiesto come avesse fatto lei a saperlo prima di me. In questi giorni, mi è tornato in mente questo particolare. Un altro elemento che mi è rimasto impresso è che, la sera dell’arresto, Traini tese la mano al procuratore Giovanni Giorgio per salutarlo, ma lui gli negò il saluto spiegandogli che non riteneva di potergli dare la mano dopo quello che aveva fatto. Invece poi, al termine del processo, mentre la corte era in camera di consiglio, il procuratore gli diede la mano dicendo che aveva capito che era cambiato, e che in qualche modo si era reso conto di quello che aveva fatto".

p. p.