Un antidoto all’assuefazione alle notizie

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Pierfrancesco

Giannangeli

Cento anni fa, nel 1922, venne pubblicato "Gli ultimi giorni dell’umanità". Il suo autore, il fulminante scrittore austriaco Karl Kraus, ci aveva lavorato per la maggior parte nel periodo della Prima guerra mondiale, ma la stampa definitiva arrivò appunto a distanza di qualche tempo. Nell’edizione italiana di Adelphi, al netto del saggio esplicativo di Roberto Calasso e dell’indice dei nomi, sono circa settecento pagine di un incubo con al centro il conflitto, un racconto senza sconti in forma di testo teatrale, ma di un teatro impossibile per lunghezza e numero di personaggi, che sono centinaia e centinaia. Amante delle sfide ardite, il regista Luca Ronconi ne fece nel 1990 un memorabile allestimento di cinque ore per lo Stabile di Torino nella fabbrica del Lingotto appena smobilitata dalla Fiat. Per chi volesse vederne una sintesi di un paio d’ore c’è la ripresa Rai su Youtube. Per i più coraggiosi c’è il libro ed è un’ottima lettura in questo tempo di guerra in Europa e di "nenisti" (né con l’uno, né con l’altro, come se invasori e invasi fossero la stessa cosa). Tra la moltitudine dei personaggi ce ne sono due che rappresentano il filo conduttore della narrazione: l’Ottimista, che la guerra la difende, e il Criticone, di pensiero diametralmente opposto. Quest’ultimo, nella scena 54 del V atto, così conclude il suo chilometrico intervento: "La tragedia che si compone delle scene dell’umanità che si decompone, io l’ho presa su di me, perché lo Spirito che ha pietà delle vittime la ascolti, quand’anche abbia per sempre rinunciato al contatto con un orecchio umano. Riceva esso la nota fondamentale di quest’epoca, l’eco della mia cruenta follia, che mi rende corresponsabile di questi rumori. La faccia valere come redenzione!". Più avanti, nell’ultima battuta dell’epilogo, arriva la voce di Dio: "Io non l’ho voluto". Kraus è l’antidoto alla stanchezza, o all’assuefazione alle notizie, che ci fa abbassare la guardia. Non è proprio il caso.