"Il testo di Euripide mette in risalto questioni che sento urgenti e ritengo ora prioritarie, per esempio l’intuizione di una democrazia che a volte è molto poca democrazia". Serena Sinigaglia firma la regia di "Supplici" che alle 21.30 di oggi sarà portato in scena nell’anfiteatro romano di Urbisaglia. Sul palco le attrici Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan e Debora Zuin. "Il primo aspetto che mi ha colpito è leggere che circa 2.500 anni fa un intellettuale ritenesse contraddittorio l’esperimento democratico e che alla fine la democrazia appariva più un’oligarchia che, per ottenere il consenso, fingeva di essere una democrazia. Tirannide e democrazia si avvicinano a certe stanche democrazie europee". Sinigaglia, c’è un altro punto che l’ha colpita? "Le sette madri degli eroi morti chiedono aiuto ad Atene invocando la restituzione dei corpi senza esitare che la loro richiesta sfoci in un’altra guerra. Ecco la contraddizione, queste donne distrutte dal dolore sono il grimaldello perché la loro supplica genera una nuova guerra che porta con sé altre morti". È tutta una catena che mostra l’incapacità dell’uomo di arrivare a una soluzione. "Euripide ci dice che la guerra nasce perché l’uomo non sa costruire una società giusta e alla fine c’è una catena di violenza, di sopraffazione dettata dalla legge del più forte". È stata una sua scelta affrontare questo testo o le è stato commissionato? "Ci lavoro da anni, quest’anno c’erano le condizioni per portarlo in scena". Non mi sembra che ci siano tante rappresentazioni di Le Supplici, qual è il motivo perché difficilmente viene messo in scena? "Perché è un testo molto politico, una tragedia particolare. Siamo abituati a tragedie coinvolgenti in cui sentimento e compartecipazione del pubblico sono immediati. Può provocare spavento questo testo, commissionato per glorificare Atene e la democrazia, perché si rischia di essere agiografici. C’è un discorso politico che non è subito teatrale, ma è un ragionamento sul perché l’uomo non riesce a creare società giuste". Portarlo in scena è un rischio? "Credo che sia il momento in cui gli artisti debbano assumere la responsabilità di sollecitare ragionamenti politici profondi. Il testo l’ho fatto tradurre, ho tagliato le parti roboanti per tirare fuori le contraddizioni inserendo contributi di altri pensatori". Sono trascorsi 10 anni dalla sua regia della Carmen allo Sferisterio, cosa le è rimasto di quell’esperienza? "Una bellissima esperienza al punto che tornerei anche domani allo Sferisterio, uno spazio pazzesco". Lorenzo Monachesi