Vittorio Sgarbi contro Facebook. "Censurato, voglio un milione"

San Severino, il critico cita il social per danni: oscurati i miei post con le opere d’arte

Vittorio Sgarbi: "Il 7 ottobre  ci sarà l’udienza di mediazione, ci sarò anch'io"

Vittorio Sgarbi: "Il 7 ottobre ci sarà l’udienza di mediazione, ci sarò anch'io"

Macerata, 14 settembre 2019 - Vittorio Sgarbi chiede un milione di euro di risarcimento a Facebook, per aver censurato quattro suoi post che mostravano opere d’arte celeberrime. All’ennesimo stop subito, il critico ha deciso di non lasciar correre e ha contestato la violazione degli articoli 21 e 33 della Costituzione, che tutelano la libertà di espressione e la libertà delle arti e delle scienze. Dato che il professore è residente a San Severino, la causa è stata avviata dall’avvocato Giampaolo Cicconi al tribunale di Macerata. Il 7 ottobre ci sarà l’udienza di mediazione, davanti all’avvocato Francesco Governatori.

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«E in tribunale ci sarò anche io», ha annunciato Sgarbi. La vicenda è iniziata il 5 giugno 2015, quando la pagina Facebook di Sgarbi è stata bloccata per 24 ore, dopo la pubblicazione di una foto di Sgarbi al Musée d’Orsay di Parigi, davanti al dipinto di Gustave Coubert «L’origine du monde». Il quadro mostra una donna nuda, e i sistemi di controllo del social network sono scattati in automatico. La seconda nell’agosto 2017, per due spot relativi ad altrettante mostre a Gualdo Tadino: «Seduzione e potere» e poi «Luciano Ventrone. Meraviglia ed estasi». Ancora, il social network ha impedito la campagna di comunicazione di una società di Treviso che mostrava il gruppo scultoreo «Amore e Psiche» di Antonio Canova; il profilo della società Antonio Canova onlus, presieduta da Sgarbi, è stato bloccato.

Infine, Facebook ha censurato una foto di Wilhelm Von Gloeden. La foto era stata esposta a palazzo Doebbing a Sutri, cittadina dove il critico d’arte è sindaco. In quel caso si trattava di nudi maschili. «Chi vede il male in quelle immagini, lo ha dentro – ha commentato Sgarbi –. La censura di Von Gloeden è tanto più grave oggi, perché non è ai corpi nudi di ragazzi proiettati nel mito, ma rappresenta una più grande e subdola censura ai valori del mondo omosessuale, che si identifica in Von Gloeden. Tre ragazzi nudi fanno scattare una reazione omofoba, che il cuore e l’intelligenza morta di Facebook registrano con evidente e intollerabile discriminazione».

L’avvocato Cicconi ha citato la sentenza 59 del 1960 della Corte Costituzionale, che ribadisce come le forme artistiche siano tra le più elevate forme di pensiero. Il ricorso è stato notificato a Facebook Inc. a Milano, a Dublino (competente per le questioni europee) e in California, facendo presente anche il danno economico causato dall’oscuramento degli spot. Se la società non si presenterà, dopo la mediazione si passerà alla causa civile.