Alessandro
Feliziani
Domani, 20 marzo, vigilia dell’inizio della primavera, è anche la “Giornata internazionale della felicità”. La ricorrenza è stata istituita dall’Onu a seguito di una risoluzione proposta dal Bhutan, il piccolo paese asiatico che ha sostituito l’indice economico PIL (Prodotto Interno Lordo) con il FIL (Felicità Interna Lorda), cioè un indicatore calcolato attraverso sondaggi sulla salute fisica e psicologica dei cittadini, e le condizioni sociali e ambientali.
Ma cos’è la felicità? Come la si raggiunge? Da sempre psicologi, sociologi, filosofi e
perfino scienziati provano a fornire una definizione.
Molti anni fa, il giornalista Gianni Bisiach scrisse un libro dal titolo “Inchiesta sulla
felicità”. Era il risultato di cento interviste su come essere felici, da lui realizzate ad
artisti, industriali, economisti, politici, scrittori, studiosi delle più disparate discipline.
Ognuno aveva dato una propria definizione di felicità: l’attore era felice per l’Oscar
ricevuto, il cantante per la popolarità di una sua canzone, il politico per il consenso
ottenuto. Insomma, i successi lavorativi e con essi anche i soldi, “che – si dice – non
fanno la felicità, ma aiutano…”, erano, insieme a ricordi di momenti esaltanti, le
risposte più ricorrenti. Ovviamente il libro, che ancora oggi vale la pena leggere, non
fornisce soluzioni, ma offre al lettore spunti per una personale riflessione.
La felicità la si identifica quasi sempre con un istante vissuto o con un traguardo
raggiunto, che si vorrebbe ripetere, magari alzando l’asticella. Cercando la felicità in un obiettivo materiale, però, si può rischiare di perseguire un miraggio o, peggio
ancora, di cadere in uno stato di angoscia, che rende la vita difficile.
Madre Teresa di Calcutta sosteneva che la felicità non è la mèta, ma è il percorso per raggiungerla e per Ennio Flaiano la si conquista “desiderando quello che siamo”. Insomma, l’essere
felici si identifica semplicemente con il vivere
in serenità con sé stessi.