Mercoledì 24 Aprile 2024

Il partigiano Diavolo e la verità sul triangolo rosso

È morto a 100 anni Germano Nicolini. Fu accusato ingiustamente per l’uccisione di don Pessina. Scagionato dopo il celebre “Chi sa parli“

Migration

di Mike Scullin

Fra un mese e un giorno Germano Nicolini, il celebre comandante partigiano Diavolo, avrebbe compiuto 101 anni. Una splendida, lucida vecchiaia da riabilitato, la sua. Ammirato soprattutto dai giovani, al punto da ritrovarsi protagonista venti anni fa di una nota ballata rock sulla Resistenza cantata da Ligabue. 101 anni. Ma nessuno gli ha mai potuto restituire i 10 di carcere scontati ingiustamente, vittima di un complotto orchestrato da Chiesa e magistratura, una parte dei quali affrontati per coraggiosa scelta personale dopo essere stato liberato per un errore formale: il Pci era pronto a farlo fuggire nella Cecoslovacchia comunista, oltre la Cortina di ferro, come tanti altri, e lui si rifiutò, non volendo rinunciare alla dignità e alla coerenza di innocente.

Nicolini è morto ieri nella sua casa con la stinta bandiera arcobaleno della pace sempre esposta sul terrazzo, nella Correggio che lo vide sindaco lo spazio di un mattino, nell’immediato dopoguerra. Era lui il primo cittadino quando un “commando” composto da 3 partigiani comunisti di ronda davanti alla chiesa della frazione di San Martino Piccolo venne sorpreso dal parroco Umberto Pessina. Mancava poco alla mezzanotte. Uno dei 3 sparò nella colluttazione è il prete cadde ucciso. Il 18 giugno 1946. Una data scolpita nella storia d’Italia. A Nicolini, che aveva appena fatto la Resistenza combattendo battaglie sanguinose contro i tedeschi e rischiando più volte la vita, Il popolo correggese aveva affibbiato il’affettuoso nomignolo di Dievel, Diavolo, per l’agilità con cui saltava i fossi schivando le pallottole.

Comunista fuori dagli schemi, portato al dialogo, origini in una famiglia cattolica benestante, non piaceva però alla parte rivoluzionaria, filosovietica e militarista del Pci reggiano che lo teneva all’oscuro delle azioni criminali “strategiche” di non pochi ex partigiani votati al terrorismo rosso. I delitti del “triangolo della morte”, vittime fascisti, sacerdoti, politico di fazioni avversarie. Ma quel soprannome, Diavolo, divenne la rovina di Nicolini. Incolpato dell’omicidio del prete, dapprima come esecutore e poi, in assenza di prove, come fantasioso mandante, venne arrestato.

Il sindaco comunista che tutti chiamavano Diavolo divenne, nella campagna elettorale del 1948 che vide scontrarsi Dc e Pci-PSI, e vincere la Dc, un simbolo da sbandierare nei manifesti elettorali con gli occhi iniettati di sangue. Lui però non c’entrava niente con quel delitto.

All’epoca aveva una figlia di due anni, e la moglie era incinta del secondo. Una vita distrutta. Nel Pci tanti sapevano della sua innocenza. Tacquero. Una vergogna dopo l’altra. Nel 1990 il miracolo. Il "chi sa parli" di un altro partigiano comunista reggiano, Otello Montanari, sui delitti e le vendette del dopoguerra indusse il procuratore capo dell’epoca a riaprire il caso Nicolini. Ma alla verità si giunse in circostanze commoventi e incredibili. Il figlio di Nicolini, Fausto, e il figlio di chi aveva sparato a don Pessina sono entrambi medici e amici. Grazie al loro legame lo sparatore venne convinto del figlio a presentarsi in procura per confessare.

Fu così che alla corte d’assise di Perugia fu riaperto il vecchio processo; la prima revisione dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.

Nicolini riebbe restituiti i diritti Civili, la possibilità di votare, la medaglia al valore militare che gli era stata tolta. È il risarcimento dovuto per l’ingiusta detenzione patita. Un’altra battaglia vinta, dopo le infinite ingiustizie e sofferenze. E ora chissà, se c’è un aldilà, il Diavolo riabbraccerà quel prete che lui stesso, da sindaco, stimava.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro