
Francesco Casoli, presidente del gruppo «Elica», analizza l’impatto dei dazi nel mercato globale
FABRIANO (Ancona)
Francesco Casoli è il presidente del gruppo "Elica" di Fabriano, società quotata in Borsa a Milano che produce cappe aspiranti e anche piani cottura aspiranti. Una quota della produzione è finalizzata ai produttori di cucine, tutti i brand più importanti. Oltre ai quattro siti produttivi nelle Marche, ha anche tre stabilimenti all’estero: in Polonia, in Messico e anche in Cina.
Casoli, com’è la situazione industriale alla luce anche dei dazi che Trump vuole imporre?
"Siamo in un momento molto delicato – risponde l’industriale –, perché con i dazi di Trump stiamo ridisegnando il commercio dei prossimi vent’anni".
Ma in questo momento si avvertono delle ripercussioni sulla produzione?
"Non più di tanto, anche perché molti dei dazi ancora non sono partiti. Diciamo che è una questione che per il momento sta facendo molto dibattito".
Quindi soltanto tempeste finanziarie?
"Ma neanche quello, perché le Borse scendono un po’, poi si riprendono e tornano a salire. Non ci sono stati crolli terribili".
Una tempesta in un bicchier d’acqua?
"No, nemmeno questo è vero. Questo è un momento molto delicato. E le spiego il perché".
Dica.
"Noi stiamo correndo sui mercati globali, come imprenditori marchigiani e non solo, con uno zaino molto pesante, perché dentro abbiamo il welfare, la sicurezza sul lavoro e anche l’ambiente. Ecco, corriamo svantaggiati rispetto ai produttori orientali e cinesi. Ora Trump ha messo l’elefante nella stanza con il problema dei dazi e quindi qualcosa all’interno dello zaino dovranno mettere anche gli altri, cioè tutti i nostri competitor".
Faccia un esempio.
"Togliendo di mezzo il settore dell’automotive, che come marchigiani sentiamo in maniera abbastanza marginale, basti pensare a che cosa è successo per noi nel settore degli elettrodomestici tra coreani, cinesi e produttori di altri Paesi. Ecco, il loro zaino vuoto ci ha messo fuori mercato. Un disastro".
Poco sopra il miliardo l’export marchigiano verso gli Usa nel 2024, ma per circa il 20% pesa il settore farmaceutico, e cioè il gruppo Pfizer, una società americana.
"La Pfizer pesa tantissimo in termini di export a livello nazionale e molto di più a livello marchigiano. Ma al di là di questo, per le nostre industrie non è cambiato più di tanto".
Per lei e il gruppo Elica come va, visto che ha stabilimenti produttivi in Cina e Messico?
"In Cina produciamo per il mercato locale ed è un piccolo stabilimento. In Messico produciamo anche per gli Stati Uniti, ma dazi non ce ne sono".
Di chi è in mano, allora, questa guerra del commercio ancora guerreggiata?
"Noi come imprenditori possiamo fare poco, perché il tutto è nelle mani dei politici e dell’Europa, che nel corso di questi anni ha appesantito tutti gli imprenditori con la burocrazia e con le sue regole. Ha appesantito quello zaino con cui corriamo per il mondo. Sono loro, a Bruxelles, che si devono muovere e devono capire che le troppe regole non ci rendono competitivi".
Alla fine, quindi, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump...
"Ha messo l’elefante dentro una stanza e adesso vediamo che cosa succede. Perché ci stiamo giocando le regole del commercio mondiale dei prossimi vent’anni".
Qualche imprenditore sussurra: spostiamo le produzioni negli Stati Uniti per evitare i dazi. Teoria fattibile?
"La manodopera negli Stati Uniti costa ed è anche difficile da reperire, per avere i permessi ci vogliono anni e per mettere in funzione un’azienda ci vogliono decenni. Non è una cosa facile, come potrebbe sembrare. La questione non passa per queste scelte, ma passa attraverso chi ci governa a Bruxelles. Per il resto i danni dei dazi concretamente non si sentono e siamo al dibattito".