
Dentro o fuori chi ne ha già fatti due? Il dilemma arriva in direzione. Legge elettorale, primo ok alla modifica proposta dai Cinque Stelle.
Matteo Ricci ebbe a dirlo: in lista voglio i migliori, e come dargli torto. "Il mio auspicio è che le candidature possano essere espressione di un partito rinnovato. Le persone ci chiedono cambiamento", il passaggio chiave della relazione della segretaria Chantal Bomprezzi all’assemblea regionale del partito. Ecco, prima o poi i nodi vengono al pettine e sul dilemma del sì o no al terzo mandato per i consiglieri regionali ora il Pd rischia di incartarsi sulla strada verso le elezioni. Che aria tiri dalle parti della segreteria lo lasciano intendere le parole di Bomprezzi, ma intanto ieri la consigliera regionale uscente Manuela Bora – al secondo mandato – ha voluto lanciare un segnale in vista della direzione regionale del partito, che dovrà mettere nero su bianco il regolamento per le candidature, da sottoporre poi all’approvazione dell’assemblea regionale. "Il terzo mandato è previsto dallo statuto. Se serve, io sono a disposizione, ma sarà il Pd a decidere", ha detto, salvo poi a domanda rispondere: "Chi farà il regolamento ha tutto il diritto di farlo e spiegherà la logica di scelte diverse". "Preciso che ho già rinnovato la tessera del Pd e ne sono orgogliosa, perché per me il sostegno al partito e a Matteo Ricci sarà totale in ogni caso – ha chiarito poi Bora, per sgombrare il campo da eventuali polemiche –, ma se parliamo di rinnovamento, va anche detto che sono la più giovane amministratrice delle Marche".
IL REGOLAMENTO
Ecco, per districarsi in bizantinismi da ufficio complicazioni speciali bisogna fare un po’ di storia. Nel primo statuto regionale del Pd si prevedeva il limite dei due mandati per i consiglieri regionali, poi riformato (con rimando al regolamento per le elezioni) dal commissario Losacco. Nel regolamento varato alla vigilia delle regionali di cinque anni fa il partito scelse una formula di mediazione: no al terzo mandato, salvo deroghe. Ecco, se si decidesse per la linea dura del "rinnovamento" senza sé né ma, il semaforo rosso scatterebbe seduta stante per la metà del gruppo consiliare del Pd – Anna Casini (Ascoli), Fabrizio Cesetti (Fermo) e gli anconetani Antonio Mastrovincenzo e Manuela Bora –, con l’inevitabile conseguenza di fermare ai box alcuni tra i consiglieri che cinque anni fa presero il maggior numero di preferenze, e il rischio di lasciare per strada voti preziosi in una volata che si annuncia da testa a testa. "Da qui a settembre si corre per riportare le Marche al governo di centrosinistra, sono pronta a mettere la mia esperienza e la mia faccia in questa battaglia", ha detto ancora Bora, già assessore regionale nella giunta del dem Luca Ceriscioli, annunciando anche l’invio di una lettera aperta a tutti i membri dell’assemblea regionale, "un grazie e un atto di rispetto verso il Pd e la comunità".
LA LEGGE PER IL VOTO
Intanto è stata approvata all’unanimità in commissione affari istituzionali la proposta di legge a prima firma della capogruppo del Movimento Cinque Stelle, Marta Ruggeri, che di fatto disinnesca la modifica della legge elettorale regionale varata nella consiliatura 2015-2020, in vigore dalle prossime elezioni. Con quel provvedimento, infatti, solo il governatore e lo sfidante la cui coalizione avesse ottenuto il maggior numero di voti sarebbero entrati in Consiglio regionale, fuori il candidato governatore della coalizione arrivata terza e seguenti. Il provvedimento approvato ieri, che ora si avvia verso l’esame dell’aula, prevede principalmente l’abrogazione dell’articolo 10 bis della legge elettorale, che vietava ai candidati alla presidenza della Regione di presentarsi contemporaneamente anche come candidati al Consiglio regionale. "Si trattava di una norma anomala e ingiusta, che limitava i diritti politici e rischiava di compromettere la rappresentanza democratica – dice la consigliera regionale del Movimento Cinque Stelle, Marta Ruggeri –. La sua applicazione, mai avvenuta finora ma prevista a partire dalle prossime elezioni regionali, avrebbe portato a una distorsione del voto, impedendo ad alcune forze politiche, pur avendo ottenuto magari significativi consensi, di vedere rappresentati in aula i candidati presidenti".
Per il centrodestra, avrebbe dovuto essere il grimaldello per scardinare il campo largo e l’alleanza Pd-Cinque Stelle. Non a caso, da quelle parti avrebbero voluto addirittura emendare la proposta di modifica della legge per dare al candidato governatore arrivato terzo addirittura la garanzia del posto in Consiglio (come per i primi due), ma poi evidentemente s’è capito che una modifica del genere avrebbe potuto essere un’arma a doppio taglio per tutti con conseguenze difficilmente prevedibili.