Il cacciatore delle reti fantasma: "Così ridò la libertà a pesci e piante"

Giuseppe Simeone, sub della Guardia Costiera, protagonista di operazioni spettacolari nei mari italiani

Caccia alle reti fantasma

Caccia alle reti fantasma

San Benedetto del Tronto (Ascoli), 5 settembre 2022 - Una minaccia mortale si aggira sul fondo del mare: le reti fantasma. Peggio dei sacchetti di patatine che soffocano i delfini, peggio delle bottigliette che diventano microplastiche e finiscono sulle nostre tavole, bloccano piante e animali facendoli morire lentamente di fame o di stenti. Ecco perché il Nucleo subacqueo della Guardia costiera è in prima linea, dal 2019, e porta numeri importanti: sono state già rimosse 36 tonnellate di reti lungo gli 8mila chilometri di costa del Paese, anche dalle Aree marine protette, che in Italia sono 29. Il comandante Giuseppe Simeone è un punto di riferimento nazionale nella lotta alle reti fantasma: dal 1995 è stato protagonista di operazioni anche spettacolari in tutta Italia e coordina da anni le operazioni della Guardia costiera. Ora è a capo del Nucleo subacquei di San Benedetto, il cui porto è secondo solo a quello di Mazara del Vallo per quantità di pescato e numero di pescherecci.

Comandante, cosa fanno al nostro mare le reti fantasma?

"Sono un danno incalcolabile perché intrappolano tutto ciò che incontrano: piante, pesci, crostacei. Non si tratta di strumenti illegali, o perlomeno non solo, può capitare che una rete si stacchi da un’imbarcazione. O possono essere frutto di un’azione dolosa".

Che fare se se ne trova una?

"Segnalare il luogo e la natura del ritrovamento, per permetterci di valutare caso per caso. Se una rete è stata abbandonata da molto tempo, la vita può esserci ricresciuta sopra e rimuoverla vorrebbe dire distruggere il lavoro che la natura ha fatto per difendersi, così come nel caso di pneumatici. Inoltre, portarla sulla banchina senza poi farla rimuovere, vuol dire solo spostare un rifiuto inquinante".

Ha notato una maggiore sensibilità da parte dei cittadini?

"Sì. Enti locali, associazioni, sub o bagnanti e anzi proprio i cittadini sono le nostre sentinelle. Qualche giorno fa ci hanno segnalato un motorino in acqua, a Grottammare: siamo arrivati e a 20 metri dalla riva, abbiamo trovato uno scooter che abbiamo poi ovviamente rimosso".

C’è una vostra storica missione, quella del salvataggio di tre capodogli al largo di Napoli. Come ha fatto l’uomo a imprigionare i giganti del mare?

"Purtroppo anche loro, parliamo di animali anche di 13 o 14 metri, possono finire nelle reti fantasma, al pari di delfini, tartarughe e tante altre specie. L’emozione è sempre enorme, soprattutto di fronte alla ’resa’ degli animali".

Non sono diventati aggressivi quando si sono visti circondati da subacquei?

"No, si sono lasciati avvicinare. Ed ecco perché è fondamentale il lavoro del biologo, che ci segnala in tempo reale come l’animale sta reagendo al nostro lavoro. Ci avvisa se si sta innervosendo o se si sta preparando a immergersi e a quel punto bisogna stare attenti o si finisce per andare giù nell’abisso. Ma il più delle volte gli animali è come se si abbandonassero, osservandoci mentre tagliamo le reti".

Voi del nucleo subacquei affrontate diversi pericoli nel vostro mestiere: mai pensato che non ne valga la pena? Che ormai il mare sia condannato?

"Neanche per un attimo. A volte dopo ore in mare siamo distrutti, ma liberare una tartaruga dalla sua gabbia di plastica diventa una specie di anestesia alla fatica e ci connette alla nostra parte più ancestrale, quella che abbiamo in comune con la natura, forse la più profonda di noi stessi".

E a chi si dice insensibile nei confronti della natura che risponde?

"Che il sacchetto buttato in un fiume con ogni probabilità tornerà sulla sua tavola, magari in un’altra forma. Tutto ciò che finisce in mare torna a terra. Questa è una battaglia di tutti, e solo insieme si può vincere".