Spopolamento Marche: sotto il milione e mezzo di residenti

Nel 2050 si scenderà di altri 200mila. Da diciotto anni mai numeri così bassi. L’allarme dell’economista Marcolini: "Andrà sempre peggio"

Lo spopolamento delle Marche

Lo spopolamento delle Marche

Ancona, 28 marzo 2022 - È scesa sotto il milione e mezzo di residenti la popolazione delle Marche a fine 2020. Lo certificano i dati della terza edizione del Censimento permanente della popolazione dell’Istat che, al 31 dicembre 2020, ha contato 1.498.236 residenti. I dati del censimento registrano, rispetto all’edizione 2019, una riduzione di 14.436 residenti nella regione. Il dato più rilevante è che la popolazione delle Marche è tornata indietro ai livelli di inizio nuovo millennio. La quota 1,5 milioni di residenti che era stata raggiuta nel 2003 non ha resistito, immolandosi nella battaglia della pandemia che ha aumentato i defunti e diminuito le nascite.

Già nel 2019 le Marche erano scese sotto quota diecimila parti contro oltre 17 mila defunti e la pandemia non ha certo riequilibrato queste statistiche. L’invecchiamento della popolazione è dato per scontato da tutti gli osservatori. Tanto che il presidente uscente dell’Istao Pietro Marcolini rilancia studi che parlano di una riduzione a 1,3 milioni di residenti abituali entro il 2050.

Dovemmo anche prendere atto che l’incremento di popolazione è stato continuo e progressivo per tutto il secolo scorso: partendo da 1,1 milioni del 2011 per arrivare sulla soglia di 1,5 milioni alla fine del secolo. La trasformazione economica da regione agricola a regione manufatturiera ha caratterizzato gli ultimi 50 anni del Novecento, completando una trasformazione anche interna con una emigrazione da entroterra a costa che ha trasformato in maniera consistente la regione. Peraltro il cambiamento è quasi uniforme: tra il 2019 e il 2020 la popolazione si è ridotta in tutte le province, con perdite in valore assoluto che variano tra quella di Fermo (-2.027 residenti) e quella di Macerata (-3.405). In termini relativi la variazione minore si osserva ad Ancona (-0,6%) e quella maggiore ad Ascoli Piceno (-1,3%).

"Il tema principale è quello dell’invecchiamento della popolazione. Ci sono studi che indicano nelle Marche una discesa di popolazione continuativa: nel 2050 dovremmo essere a 1,3 milioni di residenti", dice Pietro Marcolini , docente di economia e presidente uscente dell’Istao, istituto per la gestione dell’economia e delle imprese. 

Meno nascite e meno popolazione attiva, dunque?  "Ogni anno 6-7000 marchigiani emigrano per lavorare. Con la finalità di fare quello per cui hanno studiato". 

Quindi le Marche formano i propri giovani ma poi non offrono lavori adeguati?  "Rispetto a 15 anni fa la situazione è cambiata: la percentuale di laureati che andava fuori per lavorare era inferiore al 15%, ora è superiore al 40%: le Marche invecchiano e contemporaneamente si impoveriscono di competenze. Si formano giovani che però non trovano impiego. Da un parte c’è una crisi produttiva propria del modello marchigiano e dall’altra c’è una pubblica amministrazione sottodotata rispetto al dato nazionale". 

La rarefazione di popolazione è collegata alla crisi economica?

"Nelle Marche ci sono state tre crisi una dietro l’altra: anche il mondo delle imprese stenta".

C’è anche una crisi della pubblica amministrazione?  "Partiamo da dati ormai consolidati: nascono pochi bambini. La rarefazione della popolazione incide su tutto, a livello economico, a livello di servizi, a livello pubblico. Una rarefazione che sembrava contrastabile quando il Pil delle Marche è cresciuto dell’8,5% contro il 6% italiano". 

E invece?  "Invece il rimbalzo, in gran parte dovuto all’avvio della ricostruzione post sisma e dalla rinascita del settore edilizia, si è rilevato troppo pesante per le aziende edili sopravvissute alla grande crisi bancaria". 

Adesso sarebbe facile dare la colpa alla guerra...  "Certo, ma i segnali c’erano ancor prima". 

A cosa si riferisce? "Nel primo semestre del 2021 c’erano ancora aziende che erano venute da altre parti d’Italia a lavorare nella ricostruzione. Poi con il superbonus non ne sono venute più. Già da allora era emerso l’allarme per i prezzi delle materie prime. Un allarme che si è trasformato in una situazione di crisi parossistica". 

Non c’entrerà con la riduzione di popolazione, ma non si trova più forza lavoro e non solo nell’edilizia.  "Il sistema formativo è ormai lanciato altrove rispetto ai lavori manuali. Non sarà facile cambiare questo stato di cose. Ma per l’edilizia e per certi lavori di terziario bisognerà pagare di più e meglio chi lavora. Se no la concorrenza del reddito di cittadinanza resterà vincente".