dall’inviato Francesco Vecchi LEOPOLI (Ucraina) Si sono riconosciuti più dalla voce che altro, Paolo e Alexander, dato che entrare in Ucraina di sera significa avere subito a che fare con due regole, una scritta e l’altra no: gli ampi spazi vuoti che l’uomo sembra non abitare più (c’è il coprifuoco) e il buio, pesto. Quando si sono incontrati, non si capiva chi dei due avesse vent’anni e chi sessantotto. Perché è stato un abbraccio irrefrenabile, così come le risate, rimedio antico per spezzare l’emozione che pesa un po’ troppo. Venerdì, poche centinaia di metri dopo il confine con la Polonia, Paolo e Alexander la guerra l’hanno un po’ ingannata, lottando, entrambi, per un principio che conoscono più di altri, avendo condiviso la stessa professione: chi cura deve avere a disposizione gli strumenti del caso, Putin o non Putin, al di là dei checkpoint e degli allarmi bomba che da lì a breve il secondo avrebbe insegnato come gestire al primo. Per questo Paolo Pisani, una vita col camice bianco e ora presidente di una onlus che assiste l’infanzia laddove i conflitti e la gli stati di crisi altrimenti non lo permetterebbero (la Hesperia Bimbi, nata nel 2016), ha deciso di farsi oltre tremila chilometri al volante e raggiungere il giovanissimo ematologo ucraino di 26 anni. Si chiama Alexander Istomin, lui. Prima del 24 febbraio lavorava a Kiev, ma poi l’esplosione della guerra lo ha portato all’ospedale pediatrico di Leopoli, dove finiscono anche i bimbi feriti nei bombardamenti. Istomin qualche settimana fa aveva ‘urlato’ il suo appello in direzione Polonia, verso Medyka, terra di campagna che si è riscoperta teatro di un esodo: "Ci servono ambulanze e con urgenza". La voce per vie traverse ha ben presto superato le infinite code di auto ad ambo i lati della frontiera, arrivando proprio a Pisani, ...
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