«Andrea, manipolatore fin da piccolo»

di VALENTINA REGGIANI

«ANDREA? Ci siamo accorti che era ribelle sin da piccolissimo...freddo, spietato, apatico. Abbiamo provato a salvarlo...non ci siamo riusciti». «Cavallari? E’ sempre stato un abile manipolatore ma noi non lo giudichiamo. Il nostro compito era quello di aiutarlo». Da una parte c’è il patrigno e dall’altra l’educatore. Le due figure chiave nella vita del 20enne Andrea Cavallari; quelle che avrebbero – il condizionale è d’obbligo – dovuto essere per lui un modello ma da cui, evidentemente, ha preso le distanze. Perchè Andrea, emerge dagli atti ma soprattutto da chi lo conosceva davvero, è nato con un animo irrequieto, a tratti diabolico tanto che a 16 anni aveva già otto procedimenti penali alle spalle per furti e rapine. Ieri mattina, nel corso dell’interrogatorio di garanzia nel carcere di Marassi a Genova ha negato ogni addebito sulla strage di Corinaldo, spiegando al giudice di essere arrivato dieci minuti prima della tragedia. «Io con Corinaldo non c’entro nulla; è stato un altro gruppo a farlo». Cavallari, assistito dall’avvocato Gianluca Scalera, si è poi avvalso della facoltà di non rispondere sulle altre accuse, quelle delle rapine che il Gip e la Procura di Ancona lo accusano di aver compiuto insieme ai complici. Secondo il patrigno, il commerciante Marco Montanari, non è stato possibile sradicare dal giovane quella vena criminale che lo contraddistingueva già da adolescente. ‘Viveva da mia madre ora – spiega il negoziante con rassegnazione – per noi era impossibile tenerlo in casa, era ingestibile. Non ho rimorsi o rimpianti; abbiamo fatto tutto il possibile. Andrò a trovarlo in carcere? Mi dispiace, non me la sento ora. Ma quello è il suo posto». Parole dure, crude per un genitore che, quel figlio, seppur non biologico lo ha cresciuto. Parole che trovano conferma anche nella descrizione di Claudio Lotti, l’educatore che per due anni ha seguito Andrea a San Patrignano. «Doveva ‘scontare’ la messa alla prova e sistemare la parte educativa ma, soprattutto, quella penale: ripulirsi la fedina, insomma. Invece, compiuti i diciotto anni, non ha concluso il progetto e neppure il quinto anno delle superiori e se ne è andato. Non aveva la percezione dei suoi problemi e di quelli che creava – continua. Era un manipolatore e affrontava i percorsi in modo superficiale allo scopo di ottenere ‘spazi’ ma non è stato in grado – sottolinea l’educatore – di maturare un senso di responsabilità o criticità. Aveva otteggiamenti omertosi: da subito ci siamo accorti che era poco ‘limpido’: usava le persone in base ai benefici che poteva trarre: l’ho accompagnato io davanti al giudice: doveva rispondere di rapina, ricettazione e furto. Gli è stata data una possibilità, la messa alla prova ma, alla fine, ci siamo sempre chiesti se credesse nei risultati ottenuti o se seguisse il percorso solo per ottenere benefici. Era accondiscendente con chi gli servita, manipolatore e prepotente con chi, invece, era giovane e fragile. Si trascinava dietro questi ragazzi per poi obbligarli a fare cose sbagliate. Saccheggiava la mensa, ad esempio oppure utilizzata dispositivi elettronci pur sapendo di non poterlo fare. Mi dispiace che ora si trovi in questa situazione: non lo attacco, non lo giudico: il mio compito era quello di aiutarlo».