"Bertoli iniziò a cantare per gli amici. L’oste fu tra i primi a credere in lui"

Il figlio Alberto ripercorre la carriera del celebre cantautore: a 20 dalla morte un disco insieme "Iniziai a capire che stava davvero lasciando qualcosa in questa società nel ’91 quando andò a Sanremo"

Bertoli

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"Mio padre non aveva mai pensato di fare il cantante" eppure Pierangelo Bertoli è diventato una delle figure più emblematiche della canzone d’autore italiana dagli anni Settanta ai primi anni 2000. E le sue canzoni restano sempre attuali, come questo verso di ‘Eppure Soffia’: "Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba, il falso progresso ha voluto provare una bomba". Alberto Bertoli racconta il papà tra discografia e aneddoti familiari, proprio a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo singolo ‘Star Con Te’, un brano scritto ventuno anni fa, a quattro mani, con il padre Pierangelo. "Finalmente stavamo collaborando, lui ha scritto il testo ed io mi sono occupato della musica – spiega Alberto – Avevo vent’anni e stavo vivendo la storia d’amore più importante. Ma mio padre aveva già capito che sarebbe finita presto, perché avevamo modi diversi di vivere la vita. Lei conservatrice, io progressista. Quando, per la prima volta, ho ascoltato la canzone mi sono un po’ infastidito ma alla fine aveva ragione lui". Pierangelo amava la musica, che ascoltava dalla sua radio: "Aveva avuto la fortuna di averne una in casa, che all’epoca era un oggetto molto prezioso".

Pierangelo inizia a scrivere testi a 24 anni: "Erano nella cantina di Ovidio Canarini, un suo carissimo amico di Sassuolo – continua – ad un tratto Paolo Francia si mise a cantare una nenia, a mio padre piacque molto e allora provò a scriverne il testo, che poi incise come ‘Non Finirà’". Quel pezzo l’amico Francia proprio non riusciva a cantarlo, racconta Alberto: "Fu mio padre a fargli vedere come dovesse essere interpretato, in quel momento Paolo gli disse ‘tè àt dév càntér’: questo è il tuo mestiere’". Un po’ perplesso, Pierangelo decide di provarci: impara a suonare la chitarra, scrive tanto e conserva tutte le sue canzoni. "Andava spesso all’Osteria del Pescale – ricorda Alberto – dove mangiava e beveva con gli amici. Mio padre amava scrivere in dialetto e all’oste piacevano le sue canzoni. Si accordarono così: papà cantava e l’oste gli offriva la cena. C’era spesso il pienone". Verso i 30 anni però Pierangelo trova lavoro come propagandista, colui che scrive e canta canzoni per un determinato partito: "Era una proposta interessante, così parte e raggiunge la grande Milano". Ma nella metropoli Bertoli ci resta poco: "Nel partito, i valori in cui credeva non erano presi troppo in considerazione, così dopo un anno e mezzo torna a casa senza lavoro". In quel momento Pierangelo inizia a ‘cantare le sue canzoni per la strada’ finché non incontra Alberto Giovanardi, ex presidente della ‘Sassolese’: "Gli avrebbe dato i soldi per l’incisione del primo disco – spiega il figlio – solo se avesse scritto l’inno per la squadra. Andò bene, vendettero tutte le copie".

Ed ecco che inizia la carriera professionale di Pierangelo Bertoli, "quando un chitarrista portò un Lp a Caterina Caselli, che decise così di scritturare mio padre". Il cantautore sassolese, rivela il figlio, viveva la sua popolarità in modo naturale e umile: "Abbiamo iniziato a capire che stava lasciando qualcosa in questa società, che sarebbe rimasto nel tempo, solo nel ’91 quando andò a ‘Sanremo’. I compagni di scuola mi dicevano ‘dai cantiamo insieme una canzone del tuo papà’". Di 4 figli, Alberto è l’unico che si avvicina alla musica: "Una compagna mi disse che a Natale avrebbe suonato la chitarra alla festa della scuola. Andai da mio padre per dirgli che ero il figlio di un cantautore ma non sapevo strimpellare nemmeno una nota. E così mi insegnò a suonare". Oggi, a 20 anni esatti dalla morte di Pierangelo, esce il loro primo duetto.

Ylenia Rocco