"Bimbi tolti alle famiglie, ho fatto il mio dovere Ora non lavoro più e ricevo minacce di morte"

Inchiesta ’Diavoli della Bassa’, parla la psicologa Donati: "Era il tribunale ad allontanare i minori. E anche la Corte Europea difese l’operato dei giudici"

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di Viviana Bruschi

Dottoressa Valeria Donati, a distanza di oltre vent’anni dalla ‘vicenda pedofili’, tornata alla ribalta con Veleno e Amazon Prime, procederebbe allo stesso modo?

"Alla luce della gogna mediatica che mi ha colpito, la risposta è sì. Era il mio lavoro. Non toccava a me vagliare la credibilità dei bambini, ma avevo l’obbligo per legge di segnalare qualsiasi notizia di reato".

Come si è avvicinata al loro vissuto?

"Con cautela, ascoltando la loro sofferenza; ero formata a metodi di intervista non suggestivi. Ho sempre lavorato in una equipe, con colleghi molto preparati. Il nostro lavoro è stato vagliato in tutte le sedi giudiziarie, abbiamo lavorato di concerto con la magistratura, e ciò è stato precisato anche nella sentenza della Corte d’Appello di Ancona, ottobre 2020, che, rigettando per la terza volta la richiesta di revisione dei processi penali (caso Scotta, ndr), precisa che eravamo in tanti e con diversi ruoli a raccogliere le confidenze dei vari bambini".

Nel corso degli anni ha ricevuto lettere di ‘bambini’, oggi adulti?

"Sì, con molti di loro è rimasto un rapporto di affetto. Non mi permetto, poi, di commentare i racconti di chi mi accusa di aver fatto pressioni inaudite: ricordo bene anche la loro sofferenza".

A quel tempo si fece la scelta di allontanare i bambini da famiglie, come i Covezzi per esempio, i quali vennero indagati a un anno di distanza dalla separazione dei figli, oppure da madri mai indagate. Perché?

"Una bambina chiese aiuto per i cugini (i quattro fratellini Covezzi, ndr) rivelando che anche loro subivano abusi. La dichiarazione venne resa a una psicologa di un altro servizio. Il Tribunale per i Minori la ritenne attendibile e agì di conseguenza, ritenendo che i bimbi non godessero di adeguate protezioni in famiglia".

La decisione di allontanare i bambini di chi fu?

"E’ sempre del Tribunale. Alcuni ebbero incontri con i genitori, altri si rifiutarono di vederli e il Tribunale tenne conto anche di questo, come delle capacità genitoriali. La Corte Europea sentenziò che i giudici italiani avevano operato correttamente circa la protezione dei bambini".

E’ stato criticato il metodo ‘a ricompensa’ usato negli interrogatori con i bambini. Deontologicamente è possibile?

"Non so cosa sia. Nei colloqui il bambino era libero di esprimersi, di giocare o disegnare, e raccoglievo le sue parole, la sua sofferenza. Raccontare esperienze di violenza per un bambino, e anche per un adulto, è molto difficile. Subentra un senso di colpa, di paura, vergogna. Ci sono dettagli sessuali che un bambino piccolo non può sapere raccontare con precisione se non li ha vissuti".

Dopo lo stage ai Servizi sociali Ausl venne assunta al Cenacolo Francescano dove confluirono molti bimbi allontanati da casa. Non c’era incompatibilità di ruoli?

"Da libera professionista facevo parte di uno studio associato a cui venne offerto di collaborare col Cenacolo di Reggio Emilia. L’Ausl decise poi di convenzionarsi, per dare continuità agli interventi psicologici e di sostegno. Io non ho mai svolto indagini, non ero consulente della Procura, in Tribunale, e fui sempre e solo una testimone".

I genitori naturali hanno sempre rimproverato ai Servizi sociali di non aver recapitato lettere e giochi. E’ così?

"E’ sempre stato consegnato tutto. Abbiamo sempre cercato di mantenere il legame fra fratelli e anche fra cugini e cercato di ‘raccontare’ la sofferenza dei bimbi ai genitori sperando di individuare un familiare protettivo. Alcuni hanno anche incontrato i loro genitori in forma protetta. Abbiamo sempre informato i ragazzi dell’esito dei processi. È fondamentale, sancito da convenzioni internazionali, ascoltare la volontà del bambino, serve a evitare anche forme di violenza istituzionale. Alcuni processi si sono svolti quando i ragazzi erano maggiorenni, ed essi stessi si sono costituiti parte civile contro gli imputati".

Dottoressa Donati, perché fino ad ora ha taciuto?

"Per rispetto del dolore dei ragazzi e delle famiglie, perché ritengo abbiano già subito abbastanza. Nella docu-serie Veleno viene riportata la mia frase: ‘avrò sbagliato?’ Da alcuni è stata interpretata come ammissione di colpa, ma era riferita a me stessa. Negli ultimi tre anni e mezzo ho ricevuto minacce di morte".

Minacce di morte?

"Oggi come allora. L’attacco meschino alla mia famiglia, i giornalisti sotto casa, i pedinamenti, la calunnia fino al punto di dovermi ritirare forzatamente dalla mia professione, cui mi sono dedicata con onestà e rigore per più di vent’anni. Non contano le sentenze che si dilungano su una valutazione positiva del mio operato, compresa Ancona. Sono spariti i nomi di tutti: magistrati, poliziotti, psicologi, assistenti sociali, periti, pediatri, insegnanti, consulenti… Mi sono state attribuite frequentazioni, pensieri e comportamenti animati da una ideologia e una superficialità che non mi appartengono".

Si sente capro espiatorio?

"È più semplice individuare un capro espiatorio, e dare una versione semplicistica di come sono andati i fatti. Ho dato mandato al mio legale di fare le denunce opportune, qualche azione giudiziaria è già partita e qualcuna partirà, ma dai processi mediatici non ci si può difendere finché tutti tacciono".

C’è una domanda che vorrebbe rivolgere alle istituzioni?

"Istituzioni ‘silenti’. Si, questa: vedendo cosa mi è accaduto quale operatore sarebbe oggi disponibile a mettere a rischio la vita professionale e privata per svolgere in modo responsabile il suo lavoro di tutelare un bambino, segnalare un abuso? Siamo in una società che non riesce ancora ad ascoltare seriamente le vittime, meno che meno i bambini".