Carcere, tragica rivolta: morti e feriti

I detenuti hanno occupato la struttura: farmacia saccheggiata, uffici dati alle fiamme. Le vittime sono entrambe reclusi

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Tentata fuga di massa, feriti (una decina tra guardie e sanitari), fumogeni, spari e due detenuti morti probabilmente per overdose. Scene da un carcere. Sembra un film ma, purtroppo, è la realtà. E la realtà, forse, supera anche l’immaginazione. Perché la rivolta, violenta e senza precedenti, al carcere di Modena è arrivata nel momento peggiore. Nella domenica dove gli occhi dovevano essere puntati sul Coronavirus, dove c’erano divieti da far rispettare e malati da soccorrere. Invece, i detenuti hanno tenuto in ostaggio per ore una città costringendo a convogliare tutte le forze dell’ordine in strada Sant’Anna, oltre a vigili del fuoco e numerose ambulanze: decine di uomini e mezzi arrivati anche da fuori provincia. Ma riavvolgiamo il nastro di una domenica da dimenticare e interminabile. Sono le 14 circa quando arrivano richieste di aiuto. "Correte, si sono presi il carcere".

La situazione si è rivelata da subito critica. Bastava vedere la colonna di fumo nero che usciva dall’edificio. All’interno, la devastazione. I detenuti hanno dato fuoco a uffici, fascicoli, distrutto il reparto isolamento e assaltato l’infermeria rubando farmaci e metadone; i vigili del fuoco, scortati, sono riusciti a spegnere le fiamme nell’archivio poi la situazione è degenerata. Un medico, qualche sanitario e agenti (una ventina) chiusi in una stanza, tenuti ostaggio, e poi fatti uscire alla spicciolata, feriti per fortuna lievi.

Le grida e le fiamme hanno richiamato curiosi e vicini, tutti in strada per il triste spettacolo.

Un carcere distrutto (inagibile?) con il pretesto del Coronavirus. Sarebbe stata questa la miccia che ha generato la protesta. Non un caso di positività nel penitenziario (è stato smentito) ma una reazione sconsiderata alle nuove restrizioni del governo che vietano le visite di parenti e amici limitando i colloqui a video e telefonate. Una forma di precauzione anche per i detenuti stessi che ha invece innalzato il livello di tensione dopo che già nei giorni scorsi c’erano stati malumori creando un effetto domino (disordini anche a Napoli e Frosinone). La rabbia si è mescolata all’illusione di indulto e amnistia che familiari e qualche politico hanno chiesto in questa situazione di emergenza sanitaria. "E’ stato come soffiare sul fuoco" denuncia Giovanni Battista Durante (Sappe). E il fuoco è stato appiccato, da più mani e in più punti. Una rivolta studiata e organizzata. I detenuti avevano già preparato scale e corde e alcuni (almeno una cinquantina) sono arrivati all’ultimo cancello, altri sono saliti sul tetto. Il primo tentativo di fuga di massa è stato respinto grazie alla prontezza delle guardie e all’arrivo di una Volante della polizia che ha bloccato il portone che dà sul cortile. Momenti concitati, fumogeni, spari in aria, qualche manganellata per contenere la rivolta fino all’arrivo dei rinforzi. Ne sono arrivati da ogni parte della Regione e anche da fuori, reparto antisommossa e soprattutto agenti fuori servizio richiamati da ferie e permessi.

Ma, fino a sera, nonostante lo spiegamento eccezionale di forze non c’era ancora il numero giusto per fare irruzione all’interno e riportare l’ordine. Mentre alcune decine di detenuti sono stati bloccati o si sono arresi (una ottantina trasferiti poi tra Parma e Ascoli), almeno 300 aizzati da una frangia più violenta si sono barricati dietro la porta d’ingresso con armi improprie: trapani, martelli, bastoni. Hanno spadroneggiato in ogni angolo del carcere, una parte asserragliati nelle cucine gridando ’Vogliamo essere liberati’. Non erano disposti a trattare.

Anzi, la situazione ha avuto un epilogo tragico. Due detenuti morti. Entrambi sarebbero tunisini, morti per overdose dopo la razzia di metadone in infermeria (altri sei sono ricoverati). In serata le forze dell’ordine hanno aperto un varco facendo evacuare i detenuti più arrendevoli e recuperando le due salme. La situazione, gestita dal neo prefetto Pierluigi Faloni, ha tenuto col fiato sospeso centinaia di famiglie, non solo degli agenti e militari impegnati, ma anche degli stessi detenuti. Alcuni parenti sono arrivati davanti al carcere per avere notizie. Mentre, dall’interno, c’era chi fischiava. Un modo per comunicare in codice. Qualsiasi cosa abbiano detto o volessero dire non ha importanza. Il linguaggio della violenza è universale. E il messaggio che hanno mandato è stato forte, chiaro. E inaccettabile.

Valeria Selmi,

Valentina Reggiani