"Le case costano troppo e l’offerta è insufficiente"

Il professor Massimo Baldini, docente di Politica economica di Unimore

Migration

Modena, 3 gennaio 2023 - I dati d el capoluogo che evidenziano un calo della popolazione e il boom delle emigrazioni, oltre ad evidenti analisi demografiche, fanno interrogare sulle conseguenze sociali ed economiche che avranno. Ne parliamo con un noto docente di Politica economica dell’università di Modena e Reggio Emilia, il professor Massimo Baldini.

Professore, a cosa è attribuibile la fuga dalla città, soprattutto dei modenesi?

"La ragione principale è il livello molto superiore dei prezzi immobiliari a Modena. Questo spinge ad uscire dal capoluogo sia i giovani dal Sud in cerca di primo alloggio sia le famiglie che vogliono una casa di dimensioni medio-grandi o il giardino. Da molto tempo va così: tra il 2002 e il 2022 la popolazione dei comuni della cintura è cresciuta del 22%, quella di Modena del 6%. I prezzi degli immobili, poi, sono alti per la presenza di molti appartamenti destinati agli affitti brevi a studenti, lavoratori e turisti".

Ci sono ragioni economiche che possono giustificare il saldo migratorio negativo?

"La ripresa economica post-Covid è stata notevole, ma si è tradotta più in un aumento dei posti di lavoro che dei salari. In Emilia-Romagna già nel 2019 si era recuperato il livello del pil del 2007, ma il pil per abitante nel 2019 era ancora molto inferiore al 2007. La crescita è stata soprattutto quantitativa. In questo modo aumenta, in particolare lungo la via Emilia, la domanda di case ma non il reddito disponibile e il benessere individuale. L’offerta immobiliare si adegua lentamente non solo per motivi tecnici. Se c’è domanda di abitazioni, nelle città bisogna aumentarne l’offerta, altrimenti la gente va altrove e sorgono squilibri pericolosi".

Sono soprattutto i giovani ad andarsene. Questo – se si conferma la tendenza – cosa comporterà a livello di politiche sociali secondo lei?

"L’invecchiamento della popolazione da un lato aumenta la domanda di servizi sociali, dall’altro riduce il numero dei contribuenti che la possono finanziare. E’ inevitabile lo sviluppo di un conflitto distributivo tra giovani e anziani, con questi ultimi più forti politicamente e i giovani poco consapevoli. Se vogliamo salvare il welfare state, bisogna dedicare le poche risorse disponibili all’aumento della produttività, con maggiore spesa nell’innovazione e nella formazione dei lavoratori e con meno bonus e sussidi a pioggia".

Questa fuga verso realtà limitrofe segna secondo lei un’evoluzione verso un’idea di ’città me tropolitana’?

"Ormai il ’rombo’ Reggio-Carpi-Bologna-Sassuolo è un’unica grande città, però è a bassa densità. Rischiamo così di avere tutti gli svantaggi delle grandi città, ma senza i loro vantaggi: inquinamento e congestione, senza i servizi avanzati di una metropoli. La grande densità favorisce l’offerta di cultura e l’innovazione, la bassa densità produce paesi dormitorio e uso esagerato dell’auto. I giovani vivono nei comuni medio-piccoli ma molti lavorano nei capoluoghi. Ciò moltiplica i problemi di mobilità in un’area già molto inquinata dove il riscaldamento globale ha effetti evidenti".

Di fronte all’emergere di queste nuove tendenze cosa occorrerebbe migliorare?

"E’ necessario un forte coordinamento tra le amministrazioni comunali per offrire servizi integrati. Non ha senso che un piccolo comune abitato da benestanti applichi aliquote basse perché ha poche esigenze di spesa, quando un comune più grande non sa come fare a pagare i servizi. Vanno sviluppate reti pubbliche di trasporto più efficienti, anche penalizzando chi insiste con la mobilità privata. Ma mettere d’accordo tanti comuni è difficile per vecchie rivalità e per la presenza di giunte politiche di colore diverso".

Alberto Greco