"Con il mio ’Elephant’ racconto la speranza"

L’ultimo lavoro della coreografa e danzatrice Bouchra Ouizguen al Festival Vie. Il debutto al Teatro Storchi il 7 ottobre: "Storie di gioie e nostalgie"

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di Sofia Silingardi

Una coreografia intima, un coro femminile che procede per voce e movimento ispirato al repertorio popolare marocchino. Questo, e molto altro, è ‘Elephant’, l’ultimo spettacolo di Bouchra Ouizguen che si inserisce nell’ambito della rassegna di danza Ert - Carne focus di drammaturgia fisica. Coreografa e danzatrice marocchina, insieme alle artiste donne della sua Compagnie O, Bouchra debutterà al teatro Storchi di Modena il 7 ottobre alle 21, e l’8 alle 20.30, nell’ambito di Vie Festival.

Di cosa parla Elephant?

"Di speranza nonostante la scomparsa, parla del rito che va dai nostri antenati ai giorni nostri. Dalla nascita alla morte. Sono i racconti delle nostre gioie, delle nostre nostalgie... Parla di natura, di vita, di generazioni". Perché il titolo ‘Elephant’?

"È l’animale che mi è venuto in mente, tutte le mie ultime performance hanno come titolo un animale. È un titolo semplice che mi ispira. L’elefante è la parabola, la metafora di ciò che tende a scomparire. Dove sono le tracce di bellezza che lasciamo? Il nostro lavoro sarà stato lento, lungo, prima di lasciare il Marocco, per trovare anche noi stessi. Mi ha ricordato questo animale, a parabola o l’immagine, il branco con i suoi bambini, la famiglia... la luce nonostante il pessimismo della scomparsa".

Come ha trovato l’ispirazione?

"Viene dagli artisti con cui collaboro, per i quali ho immaginato un assolo, o un trio. Viene dal suono degli uccelli, da un paesaggio, da un tramonto, dai bambini che giocano. Dalla vita e dalla natura. Lavoro sulle tracce, quelle dei nostri antenati, dei nostri passi nel presente, delle nostre vite, delle nostre infanzie".

Quanto c’è della cultura marocchina nelle sue performance?

"La mia cultura è la mia scuola, le mie radici. Un proverbio africano dice: ’Se non sai dove vai, guarda da dove vieni’. Oggi un giovane giapponese o un italiano possono entrare in contatto con un’altra cultura, non solo viaggiando. La lettura, la musica, Internet, permettono di imparare, di uscire dai confini. Amo queste prospettive aperte che possiamo avere, e ne ho bisogno nel mio lavoro. Oppure collaborando direttamente con artisti di altri Paesi o semplicemente rimanendo aperti per continuare a imparare. È ciò che unisce gli esseri umani che è più interessante, non importa da dove vieni, il tuo colore o la lingua che parli…".

Danzatrici, cantanti, artiste addette a disegno e luci. Una produzione tutta al femminile. C’è una ragione?

"Amo lavorare con le donne, ma anche con gli uomini. La vita mi ha fatto incontrare persone con cui amo lavorare, perché sono fantastiche, fanno un ottimo lavoro".

Che ruolo hanno la musica e il suono nei suoi spettacoli?

"Durante e dopo la pandemia, cantare, tornare a suonare i tamburi e lavorare con la voce sono stati i primi importanti desideri che si sono manifestati, così come camminare nella natura. Il canto e la voce sono universali, parlano a tutte le culture e generazioni, uomini o donne. Nei due anni in cui siamo stati lontani a causa della pandemia, abbiamo cantato di più a casa ed è anche quello che è successo quando ci siamo ritrovati. Canzoni che evocano tragedie, gioie, vita, sparizioni e le tracce che ci lasciamo dietro. La musica ha un posto, perché è la nostra origine, è la nostra vita, il nostro corpo. Sentiamo, amiamo attraverso la musica e le canzoni. Sono trasmettitori di amore e di vita. Accompagnano le gioie di oggi e i dolori di domani".