«Con Telemaco in scena padri e figli»

Domani al Dadà di Castelfranco il monologo di Gioele Dix: «Racconto il viaggio verso la vita adulta»

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Un monologo intenso che affronta il tema della paternità nel suo senso più ampio, ignorata, perduta, cercata o ritrovata. A portarlo in scena è l’attore, comico e regista Gioele Dix, domenica sera alle 21 al Teatro Dadà di Castelfranco Emilia, con ‘Vorrei essere figlio di uomo felice’, da lui scritto e interpretato. Usando come guida l’Odissea di Omero, Gioele Dix racconta e approfondisce la vicenda di Telemaco che parte alla ricerca di Ulisse, il padre perduto.

Qual è il tema portante dello spettacolo?

«Ho tratto ispirazione tra un grande classico che pone l’accento su una relazione fondante, quella tra padre e figlio che è alla base di tutta la nostra esistenza. Essere padri non è di tutti, essere figli sì e comporta portarsi addosso le condizioni e le esperienze dei padri. Si dice che le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli ma inevitabilmente un figlio si trova ‘condannato’ dalle colpe o ‘privilegiato’ dai talenti di un padre».

L’aspettativa: Telemaco parte alla ricerca del padre, poi quando capisce che c’è decide di tornare a Itaca e attenderlo…

«L’aspettativa di Telemaco è più verso se stesso che verso il padre. Aspetta di trovare la chiave per diventare adulto. Va a cercare il padre perché non può essere se stesso se non sa di chi è figlio. Questo è lo stesso viaggio che tutti i figli devono fare. Ulisse è un padre assente ma ingombrante, un grande eroe, con cui il figlio deve fare i conti, per diventare un uomo».

Come vive il suo ruolo di padre e di figlio?

«Come padre ho cercato di fare tesoro di quello che è stato mio papà. Ho una femmina e due maschi: con loro mi sento complice ma senza mai pormi sullo stesso piano. Come figlio sono stato fortunato, ho avuto un padre importante, forte, autorevole, che mi faceva anche un po’ paura: nella vita ho fatto delle cose perché temevo il suo giudizio se non le avessi fatte. Ma questo mi ha forgiato».

Perché ha scelto la vicenda di Telemaco?

«E’ nato un po’ per caso: ero stato invitato ad una rassegna a Genova, dedicata ai canti dell’Odissea. Quelli più ‘popolari’ erano già stati assegnati. Così ho optato per i primi quattro canti del poema, la ‘Telemachia’, meno noti e frequentati, in cui si racconta di un altro viaggio, meno spettacolare ma altrettanto determinante: quello appunto del figlio di Ulisse alla ricerca del padre».

Di recente ha perso suo padre: è cambiato il suo approccio al testo?

«C’è un momento in cui mi commuovo sempre verso la fine, quando introduco la parte relativa al padre tratta da un libro di Valerio Magrelli. Quando hoscritto il testo mio padre era già anziano e avevo già un po’ iniziato a fare un bilancio del nostro rapporto. Lui manca, ma lo vedo, lo sento addosso».