Coronavirus e lockdown, famiglia bloccata in Colombia. "Fateci tornare"

Davide Morlini e la moglie Elisa erano a Bogotà per un’adozione. "Siamo qui dal 4 marzo, ma ora vogliamo rientrare a casa"

La famiglia di Formigine è in Colombia e vorrebbe tornare in Italia

La famiglia di Formigine è in Colombia e vorrebbe tornare in Italia

Modena, 14 maggio 2020 - Bloccati in Colombia da più di due mesi con il loro figlio appena adottato. "Proprio ieri ci ha contattato il datore di lavoro di mia moglie che è disposto a pagarci il biglietto per il ritorno". Non appena sarà disponibile un volo per l’Europa naturalmente. Chissà se sta per terminare l’incubo per Davide Morlini e sua moglie Elisa Ferrari, di 41 e 38 anni, formiginesi, una delle due famiglie modenesi ancora rimaste in Sud America a causa del lockdown.

Magazziniere all’acetaia Leonardi lui, commerciale in una ditta di piastrelle lei, sono partiti per Bogotà il 4 marzo per poi spostarsi assieme alla figlia naturale Maya a Popayan, la città del piccolo Emmanuel, tre anni da poco. Il bambino lo dovevano incontrare l’11 marzo, ma nel frattempo anche in Colombia è stato disposto il blocco totale e i genitori lo hanno potuto vedere solo il 24.

L’iter per l’adozione, già complicato di suo, si è protratto per altri 30 giorni, perché nel frattempo tutti gli uffici, compresi quelli che si occupano delle adozioni, avevano chiuso. Successivamente sono dovuti tornare a Bogotà in macchina con un permesso speciale. "Un viaggio di 11 ore, tra le montagne, qualcosa di indescrivibile". Da aprile adesso alloggiano in un complesso residenziale, pagando di tasca loro 100 euro al giorno.

"La nostra rabbia – spiega Morlini al telefono – deriva dal fatto che mentre l’ambasciata italiana a Bogotà sta lavorando e siamo in contatto con loro quotidianamente, abbiamo la sensazione che invece il ministero degli Esteri italiano ci abbia abbandonati. Le altre nazioni europee hanno potuto avvalersi di numerosi viaggi umanitari per tornare a casa, l’Italia invece ne ha avuti pochissimi in tutto il mondo. La commissione europea mette a disposizione dei voli umanitari pagando il 75 per cento del biglietto, un sostegno notevole considerando che un viaggio può costare tra gli 800 e i 1400 euro ciascuno e prima di noi una famiglia è riuscita a tornare a casa solo dopo aver pagato un ticket complessivo di 7mila euro. Perché l’Italia non si attiva per organizzare questi voli?". Trattandosi di rotte speciali ci si imbarca su aerei commerciali, le ambasciate si organizzano tra loro per la distribuzione dei posti.

"A Bogotà siamo cinque famiglie italiane bloccate. Per fortuna però proprio ieri ci è arrivata una bella notizia. Il titolare della ditta dove lavora di mia moglie, l’azienda Terrarinta group srl di Fiorano, ci ha comunicato che è disposto a pagare il viaggio per tutta la famiglia. Una spesa non da poco per noi quattro se si considera che dai tre anni di età si paga la tariffa intera. Gliene siamo immensamente grati: in questo modo non dovremo aspettare il volo umanitario, ma possiamo imbarcarci sul primo aereo per una qualsiasi destinazione europea non appena sarà disponibile". Il pensiero va comunque alle altre famiglie: "Noi forse c’è la faremo grazie a questo aiuto economico, ma è necessario che l’Italia attivi al più presto i voli umanitari perché tutti possano rientrare a casa".  

"E vogliamo comunque sottolineare che non ci siamo mai sentiti soli perché sia il nostro ente per le adozioni, lo Spai di Ancona, che l’equivalente colombiano, l’Icbf, sono stati sempre in contatto con noi e ci hanno permesso di concludere l’adozione nonostante il periodo difficile".