
Quelle intercettazioni non sono utilizzabili, tutti assolti quindi perché il fatto non sussiste. Si chiude così il filone politico dell’inchiesta The Untouchables, gli Intoccabili, uno dei capitoli politico-giudiziari più roventi della storia di Sassuolo. Per l’ex consigliere Pd Giuseppe Megale (nella foto), i tecnici comunali Giovanni Merolillo e Giovanni D’Andrea, così come per Samuele Manzini, l’imprenditore Adamo Bonini e Letizia Bonini finisce un incubo. La vicenda e il relativo rinvio a giudizio di Megale ha avvelenato in questi anni il confronto politico sassolese: Megale si era dimesso garantendo sulla propria innocenza, il centrodestra ha più volte chiesto all’allora sindaco Pistoni di lasciare l’incarico secondo il principio del ‘non poteva non sapere’. Pistoni si è difeso costituendo il Comune parte civile nel processo. Il reato contestato era corruzione elettorale.
L’indagine, condotta da polizia e guardia di finanza su impulso della procura, era chiamata a verificare – in occasione delle amministrative del 2014 che condussero alla vittoria della coalizione di centrosinistra guidata dall’allora sindaco Claudio Pistoni – quanto erano fondate le presunte aspettative dell’imprenditore Adamo Bonini rispetto al fatto che l’ex consigliere comunale del Pd Megale (tramite la mediazione di un dipendente comunale) avrebbe potuto garantire delle facilitazioni in cambio del sostegno elettorale.
L’accusa aveva ipotizzato che al commerciante – se avesse assicurato un certo numero di voti – sarebbe stato permesso di mantenere il dehors in piazza Martiri nonostante la rimozione prescritta dal Comune fin dall’estate del 2014. Una agevolazione che, ha sottolineato a suo tempo la procura, si è poi effettivamente verificata (l’illecito è stato poi sanato e comunque l’abuso edilizio ieri è stato dichiarato caduto in prescrizione).
Una delle prove più importanti secondo l’accusa sarebbe stata l’intercettazione di una telefonata nella quale tra il primo e il secondo turno elettorale Megale ringraziava Bonini per i voti arrivati, raccomandandosi poi su una massiccia partecipazione anche al ballottaggio finale. La svolta del processo è stata a novembre quando l’avvocato di Megale, Giorgio Pighi, ha annunciato che alla luce di modifiche legislative quelle intercettazioni non sono utilizzabili perché sono state autorizzate in un procedimento diverso da quello in questione. Per cui il pm, visto il difetto delle condizioni di procedibilità, ha avanzato la richiesta di assoluzione che il giudice ieri ha accolto. Un vizio di forma. Sebbene l’avvocato Pighi a novembre disse che comunque "anche entrando nel merito abbiamo sempre sostenuto che quelle telefonate non provavano alcunché. Le chiamate di Megale non erano indizianti, siamo sempre stati tranquilli su questo. Ringraziare qualcuno per un voto non vuol dire automaticamente promettere di soddisfare le sue eventuali aspettative. Avevamo tra l’altro sottolineato come anche i verbalizzanti non avessero dato interpretazioni così univoche al significato di quelle parole e la stessa polizia ha espresso una sua valutazione in merito parlando di probabilità e non di prova".
A indebolire ulteriormente la tesi accusatoria c’è stata anche una riclassificazione dell’abuso di ufficio che riguardava invece i dipendenti comunali coinvolti: per qualificarlo come reato ora è necessario non più solo la violazione di un atto amministrativo o di un regolamento, ma di una legge.
Soddisfatto dell’esito anche l’avvocato Luca Brezigar che difendeva Adamo Bonini: "Il mio cliente si era sempre professato innocente, la vicenda processuale poi gli è venuta in ausilio e ha chiuso una vicenda su cui comunque, anche nel merito, non c’erano secondo noi gli estremi per ravvisare alcun tipo di reato".
Gianpaolo Annese