«Così metto in scena l’identità»

Il regista Liv Ferracchiati presenta lo spettacolo in scena al teatro delle Passioni dal 21 al 26 gennaio

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Libertà, identità di genere, famiglia, società: attorno a questi temi ruotano i tre spettacoli che compongono la ‘Trilogia sull’identità’ della giovane promessa della drammaturgia italiana under 35 Liv Ferracchiati, in scena al teatro delle Passioni da martedì 21 a domenica 26 gennaio. Si comincia con ‘Peter Pan guarda sotto le gonne’ (scritto a quattro mani con Greta Cappelletti) il 21 e 22, poi si continua con ‘Stabat mater’ il 23 e 24 e si conclude il 25 e 26 con ‘Un eschimese in Amazzonia’: «La visione di tutti e tre è consigliata dai medici - scherza Liv, che con la trilogia condivide il percorso di transizione da identità femminile a maschile -, ma non è una stagione di Netflix. Gli spettacoli sono sciolti l’uno dall’altro».

Partiamo dall’inizio: la necessità di parlare di identità di genere

«Le mie prime ricerche risalgono al 2013, quando ho cominciato a vedere video sull’argomento: quello che più mi ha colpito è stata la forzatura di ciò che noi pensiamo dato per assoluto, ovvero l’essere uomo o donna come condizione determinata esclusivamente dal fisico quando, in realtà, entrano in gioco fattori psicologici, culturali. E poi il grande coraggio di chi si riappropria della propria identità, nonostante le difficoltà: famiglia e società che, in primis, ti impediscono di capire chi sei, ti spingono a seguire una strada perché non ne conoscono altre possibili. Anche se riappropriarsi di se stessi, della propria identità dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo».

Il primo capitolo della trilogia è ambientato negli anni ’90. Come è cambiata la società rispetto ad allora?

«Il Peter Pan degli anni ‘90, ispirato al libro ‘Peter Pan in Kensigton gardens’ di James Matthew Barrie, non conosce le parole per dire quello che gli succede: come il Peter di Barrie, che non riesce né a essere come gli uccelli né come i bambini, ma un ‘mezzo e mezzo’. In realtà è la summa di entrambe le cose, di maschile e femminile. Alle parole che gli mancano, sul palco sopperisce la danza. Oggi c’è internet, c’è molto più dialogo, arrivi facilmente a informazioni che prima non avevi. Ma il percorso è ancora lungo: c’è paura, curiosità morbosa. Bisognerebbe invece parlarne nelle scuole, dovrebbe diventare un argomento come un altro».

Il leitmotiv della trilogia è la transizione da femminile a maschile, ma gli spettacoli raccontano molto altro

«E’ una trilogia che parla moltissimo di famiglia. ‘Peter Pan’ racconta la fase della pre adolescenza, la scoperta dei primi impulsi sessuali, della propria identità, gli scontri con i genitori. ‘Stabat Mater’ affronta il rapporto con la madre, il diventare adulto ed emanciparsi da questo legame simbiotico, soffocante: lei è la persona che ti conosce meglio al mondo, ma quella che fa più fatica a parlarti al maschile. E poi, con ‘Un eschimese in Amazzonia’ c’è il rapporto tra l’eschimese e la società, giocato su stereotipi e improvvisazioni da Stand up comedy. Ognuno di noi è un eschimese in Amazzonia, nel momento in cui si trova a dover scegliere se seguire la massa o la propria identità».

Cosa diresti a un adolescente che sta affrontando una transizione di genere?

«Che ognuno deve scegliere come essere felice e di considerarla una cosa normale. E’ la società, impreparata, che la trasforma in eccezionale».

Una delle colonne portanti della trilogia è il concetto di ‘libertà’. Cosa significa per te?

«Credo che sia il coraggio di vivere facendo le scelte di vita che vogliamo. La libertà di ricercare chi si è, prima ancora che affermarlo».