Diretto, schietto e a volte burbero Nella sua trattoria dettava le regole

Con la sua genuinità è entrato nel cuore di tutti. Il prof Biagi aveva un tavolo fisso

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di Luca Bonacini

’An fer mia al gabiàn’ avrebbe affermato Ermes a una notizia del genere. E invece è proprio così e dobbiamo darne conto. È mancato l’ultimo degli osti, protagonista di primo piano della ristorazione modenese, dopo aver militato nella bottega che porta il suo nome in via Ganaceto per quasi sessant’anni, insieme alla moglie Bruna.

Non pochi avranno gli occhi lucidi in questi giorni, ripensando a quelle ore spensierate, trascorse seduti nelle panche della sua trattoria, che è stata una nave scuola per chi passava dall’adolescenza alla giovinezza e cominciava a conoscere la cucina modenese e la figura dell’oste burbero e schietto, che parla in dialetto e qualche volta ti sgrida.

Diverse le generazioni che sono passate di là da quando, nel 1963, Ermes Rinaldi insieme a Bruna ha rilevato quell’esercizio pubblico che risaliva al 1820 e prima di somministrare vino e cose buone modenesi, era stata una semplice latteria.

La coppia arrivava a Modena da Lagrande una frazione di Nonantola, dove i genitori di Ermes gestivano una drogheria, macelleria, forno, con rivendita di sali e tabacchi, dove lui aveva imparato le basi.

In cucina ’la Bruna’ con le ricette della tradizione apprese dalla suocera e in sala quell’oste diretto, schietto, autentico, che dettava le regole di ingaggio e tanto per essere chiari, appendeva il lunéri, un arnese che avvertiva gli avventori di che umore fosse l’oste quel giorno: buono, in céra, matto, mosso, variabile, manesco, an so menga, sclerotico, mettendoli in guardia.

Affabile e genuino, era presto entrato nel cuore dei modenesi, ma riusciva simpatico anche a sindaci, prefetti e personalità di ogni ordine e grado di passaggio a Modena, come l’editore Einaudi in città per incontrare Giuliano Della Casa, o come il prof. Biagi, che pranzava al solito tavolo il venerdì dopo le lezioni all’Università, prediligendo baccalà in umido e frittelle con polenta.

E lo pensi impegnato nel rito pomeridiano delle carte, o mentre ti accoglie sorridente e ti invita a sederti, con quel menu prettamente settimanale, in osservanza alla più geminiana delle cucine, da condividere proprio come si fa a casa, seduti uno accanto all’altro: tortellini il sabato; tagliatelle il lunedì; passatelli il giovedì; spaghetti al tonno il venerdì e cosi via. Di Ermes ci rimarrà l’umanità, la semplicità, l’essere sincero senza artifici e una profonda dedizione al lavoro, che porterà la reputazione di quell’insegna, decisamente local, ben oltre Secchia e Panaro.