"Dobbiamo parlare ai fedeli con un linguaggio più attuale"

Il vescovo Erio Castellucci: "I sacerdoti tengano omelie più brevi e incisive, va evitato l’ecclesialese"

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di Stefano Marchetti

Meno polemiche, meno arroccamenti sul passato, meno lamentele. E più entusiasmo, più speranza e più accoglienza". È un messaggio (e soprattutto un impegno) molto chiaro, quello che l’arcivescovo Erio Castellucci ha consegnato ieri pomeriggio ai fedeli delle nostre diocesi, in occasione dell’apertura dell’anno pastorale nella chiesa di Gesù Redentore. Riprendendo i temi scaturiti dal primo anno del Sinodo, don Erio ha invitato a una maggiore capacità di accoglienza, senza l’affanno di dover raggiungere chissà quali traguardi, ma con spirito di servizio e di apertura. E ha aggiunto pure che tutti – in primis i sacerdoti – devono cercare di sforzarsi per comunicare meglio, senza nascondersi dietro a un ‘ecclesialese’ che ormai pochi capiscono: anche le omelie, meglio siano brevi, chiare e più incisive, proprio come ha indicato Papa Francesco nella sua "Evangelii Gaudium".

La riflessione di don Erio – contenuta anche nella sua lettera pastorale – prende spunto dal brano evangelico di Luca che racconta della visita di Gesù alle due sorelle Marta e Maria nella casa di Betania: mentre Maria si siede ai piedi di Cristo e lo ascolta, Marta è indaffarata nelle faccende di casa e finisce per perdere la pazienza, chiedendo a Gesù di spronare la sorella a darle una mano. "Marta sta facendo cose buone – ha sottolineato don Erio –, ma il nostro nemico, a volte, sono proprio le tante cose buone", che quindi rischiano di mandarci in ansia e di vanificare gli sforzi. Bisogna tornare all’essenziale, "e anche le strutture o la burocrazia devono essere al servizio dell’annuncio della Parola, e non devono ostacolarlo", aggiunge l’arcivescovo.

Il Sinodo ha indicato tre ‘cantieri’ cioé tre idee chiave, tre cammini che tutte le comunità sono invitate a percorrere: quello ‘della strada’, cioé l’apertura anche a mondi che di solito non vengono abbastanza ascoltati, quello ‘dell’ospitalità e della casa’, dunque l’esperienza della fraternità perché ogni comunità sia come la casa di Betania, e il cantiere ‘delle diaconie’, cioé del servizio che deve essere gioioso e non brigoso. "Invece a volte nelle nostre comunità si perde tempo a litigare, si discute su tutto, si critica e si continua a rimpiangere un ipotetico passato in cui si dice che tutto andasse meglio – sottolinea don Erio –. Come può essere attrattiva una comunità del genere?". Dunque, meno brontolii e più entusiasmo. E soprattutto una migliore cura delle relazioni. Ai tre impegni indicati dal Sinodo don Erio ne aggiunge un altro, il ‘cantiere del linguaggio’. Molte volte, ormai, il messaggio della Chiesa fatica ad ‘arrivare’ perché è considerato oscuro, noioso, faticoso. L’arcivescovo racconta che l’estate scorsa, durante il campeggio con i giovani in Val di Fassa, ha fatto uno scherzo iniziando un’omelia secondo un vecchio stile, pomposo e ridondante. I ragazzi ne hanno tratto lo spunto per un divertente video (che sarà diffuso su Youtube) in cui tutti si addormentano alla predica di un sacerdote, quindi cercano poi di dare qualche consiglio per rendere più ‘amichevole’ il messaggio. Si dovrà cercare un linguaggio nuovo per la liturgia, per la catechesi e anche per le stesse omelie. "Già qualche anno fa il segretario generale della Cei, che pure è persona estremamente misurata, disse che troppo spesso le omelie assomigliano a poltiglie immangiabili", sorride don Erio. Da qui – anche in questo caso – l’invito a cercare sempre l’essenziale. Insomma, "anche la nostra vita pastorale può ripartire più snella – conclude l’arcivescovo nella sua lettera –. Le nostre comunità cristiane, pur con i loro difetti, assomigliano alla casa di Betania e diventano attraenti se armonizzano l’ascolto della parola di Dio, l’ascolto degli altri e il servizio".