"Dobbiamo sostenere le donazioni di organi"

Raffaele Diegoli, figlio della donna di 64 anni malata terminale cui sono state espiantate le cornee: "Sono orgoglioso di lei"

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di Alberto Greco

Ha un nome ed un volto la donna di 64 anni che nei giorni scorsi si è resa protagonista della seconda donazione di cornee eseguita su un malato terminale seguito dal servizio assistenza domiciliare del distretto di Mirandola. Il terzo del genere effettuato in ambito dell’Azienda Usl di Modena.

Uno dei figli, infermiere di 40 anni, oggi residente a Legnano, ha accettato di parlare del gesto della madre perché crede indispensabile "sostenere e diffondere la cultura della donazione". Raffaele Diegoli, originario di Massa Finalese, dove viveva la madre Nerina Galeotti, che tanti in questa popolosa frazione conoscevano come "una donna attiva, generosa e disponibile verso gli altri", non nasconde la commozione. "Mia madre è sempre stata – dice Raffaele – impegnata anche nell’associazione dei volontari pro disabili di Massa".

Un tumore, però, verso la fine di settembre l’ha strappata all’affetto dei suoi cari e l’ha privata del suo grande ultimo desiderio, accanto alla ferma volontà di donare le proprie cornee ribadite anche in un bigliettino scritto di suo pugno e consegnato alla infermiera Ausl che segue le donazioni, Barbara Ferrari.

"Il suo desiderio – racconta Raffaele – è sempre stato quello di partecipare alla Prima Comunione del nipote che casualmente è stata fatta il giorno dopo il funerale, domenica 25 settembre. Però i nipotini, figli di mio fratello, li ha visti fino fino al martedì precedente il decesso".

Credo possiate essere orgogliosi di un gesto come questo?

"Assolutamente sì. E’ un gesto che non è semplice da accettare. Quello di donare è troppo spesso una possibilità che estranea alla nostra vita. Si pensa sempre ’perché proprio io?’. E’ una domanda che ognuno di noi si pone. Però, ognuno di noi oggi può scegliere di essere donatore di organi. Con questo gesto si può rendere migliore la vita di malati che soffrono di patologie gravemente invalidanti". Che cosa l’ha convinta a sostenere la decisione di sua madre?

"Mi rasserena pensare che ai riceventi si può offrire attraverso la donazione una aspettativa di sopravvivenza se non simile alla normalità, molto vicina ad essa. E in molti casi può trasformarsi in un modo che ci consente di sfuggire a una morte imminente, ancorché prematura e improvvisa che ci lascia sgomenti".

Come è maturata la vostra decisione?

"L’idea mi era stata suggerita dall’infermiera del Servizio assistenza domiciliare del distretto sanitario. Non sapevo che la donazione fosse fattibile anche a domicilio. Appena me l’ha detto in separata sede, ne ho parlato con mamma e lei è stata immediatamente disponibile".

Nessun ripensamento, nessun dubbio?

"Durante tutto il tempo, un mese e mezzo, trascorso insieme a lei prima della morte, poiché avevo preso un distacco dal lavoro per starle accanto, io ho cercato sempre di incoraggiarla. E lei, sapendo che il tutto il resto del corpo era malato, mi ha più volte ribadito che, se le sue cornee non avevano problemi di miopia o altri difetti, era favorevole alla donazione. Questo gesto era in essere e ha sempre trovato piena accoglienza da parte di mia madre".

E il bigliettino?

"A proposito del bigliettino sono stato io a spingere mia madre e suggerirle di scrivere due righe, così che quando sarebbe venuta l’infermiera responsabile delle donazioni lo vedesse. Dentro di me coltivano comunque la speranza che succedesse sempre più in là nel tempo". Lei ha avuto un ruolo proattivo nell’espianto?

"Una volta sentita Barbara mi sono attivato subito, due settimane prima per capire come muovermi se fosse successo il decesso di notte. Essendo avvenuto il pomeriggio alle 14, invece, mi è stato possibile avvisare subito gli incaricati e ho eseguito tutto l’iter che c’era da fare per il trattamento degli occhi in attesa dell’espianto, fatto la sera stessa del decesso. Fisicamente dopo l’espianto non si vedeva niente. Il volto di mia madre era normale".