Don Gabriele: "Valutare rischi e benefici"

Don Gabriele Semprebon, assistente ecclesiastico dei Medici cattolici, dal suo osservatorio pastorale ci sono ancora dei credenti che si appellano a motivi religiosi nel rifiutare i vaccini?

"Sì, ci sono, nonostante il pronunciamento molto chiaro della Congregazione per la Dottrina della fede, che nella Chiesa è l’organo massimo preposto a dirimere questi problemi".

Qual è la posizione della Chiesa sull’uso di embrioni umani nella produzione dei vaccini?

"Che ci si serva di linee cellulari attraverso l’utilizzo di feti non si può nascondere. Non è che non si possano usare feti abortiti per la ricerca, è che non ci deve essere una causalità consequenziale, cioè fare aborti per poi venderli alla casa farmaceutica che li utilizza per i suoi scopi, questo no. Ma se un feto è abortito naturalmente, e quindi c’è già del materiale non indotto, perché non utilizzarlo? Credo sia necessario fare un po’di chiarezza".

Lei che idea si è fatto del caso della famiglia modenese?

"Il mio pensiero personale è che davanti alla vaccinazione ognuno debba decidere in coscienza se vaccinarsi o no, almeno finché non c’è un obbligo di legge. Cosa diversa è quando c’è un minore: la patria potestà del genitore sul minore ha un potere fintanto che la decisione del genitore non va a scapito del minore. Nel caso in esame, occorre vedere: se c’è la possibilità di sangue senza vaccino, perché non accontentare i genitori? Ma se non c’è la possibilità, allora bisogna pensare non solo al desiderio dei genitori, ma anche alla fattività concreta dell’intervento, a quanto il chirurgo sia disponibile o meno a fare l’intervento a quelle condizioni".

Quali possono essere i criteri guida quando ci si trova davanti a dilemmi etici come questo?

"In queste tematiche, c’è il grosso dilemma della patria potestà e dei suoi limiti. Occorre comprendere che ci sono dei limiti della patria potestà dei genitori secondo un principio di proporzionalità, ovvero bisogna chiedersi nel caso in esame quanto il bambino rischia se non viene operato e quanto invece rischia se assume sangue di un vaccinato. I due rischi sono proporzionati? Quale piatto della bilancia pesa di più? Se, in mancanza di una certa condizione, un genitore non acconsente a far operare il figlio, ma senza quella operazione il figlio ha una speranza di vita molto breve, allora la sua responsabilità è grandissima. Serve il bilanciamento del minor male: fare una trasfusione o non operarlo in assenza di una data condizione?".

Paolo Tomassone