Don Giorgio Govoni e la pedofilia nella Bassa, il giallo infinito

Tra pochi giorni parte la revisione del processo per uno dei genitori che furono condannati assieme al prete di Massa Finalese

Guido Govoni, alle spalle una immagine del fratello don Giorgio

Guido Govoni, alle spalle una immagine del fratello don Giorgio

Finale Emilia (Modena), 30 aprile 2019 - Davanti al muro del cimitero di Massa Finalese, viene quasi la tentazione di appoggiare l’orecchio ai mattoni rossi, a caccia di terribili segreti. Vent’anni fa, in questa frazione del comune di Finale Emilia che, con i suoi quattromila abitanti, potrebbe aspirare all’‘indipendenza’, si è consumata una pagina terribile della storia modenese. Sedici bambini – tra Massa, Finale e Mirandola – sono stati tolti ai loro genitori colpiti dall’accusa più infamante: quella di pedofilia. Uno tsunami che ha travolto nove famiglie (molti minori sono stati nascosti in altre province, in particolare Reggio Emilia) e ha cambiato per sempre la storia di questo pezzo di pianura padana, a pochi chilometri dal confine con la Lombardia.

E che ora torna a rimescolare vite: in seguito a un’inchiesta giornalistica firmata da Pablo Trincia, infatti, il caso è stato riaperto. Il 20 maggio ci sarà la prima udienza di revisione del processo a carico di Federico Scotta, uno dei genitori a cui furono tolti i figli (tre). L’uomo ha già scontato 11 durissimi anni di carcere. Ora si riesamineranno le prove, a caccia di una verità diversa.

Il camposanto, di questa tragica vicenda, è stato il teatro più buio, l’abisso in cui è sprofondata la speranza. I magistrati, infatti, accusarono un gruppo di padri e madri di coinvolgere i bambini in spaventosi riti satanici tra le tombe degli antenati. Un terrificante ‘ballo col diavolo’ con, al vertice, addirittura un prete. Anzi, ‘il’ prete per eccellenza, la guida di tutti gli abitanti di queste terre: don Giorgio Govoni, l’amico degli ‘ultimi’, dei bisognosi, padre spirituale di moltissime famiglie.

«Mi diceva sempre: ‘Per chi vuole credere alla mia colpevolezza, l’onta non se ne andrà mai’» ricorda Giulio Govoni. Negli occhi si legge lo sconfinato dolore per il fratello sacerdote, morto di crepacuore il giorno dopo aver appreso che il pm voleva spedirlo 14 anni in carcere. Don Giorgio venne assolto ‘post mortem’, «ma – sospira il fratello – la ferita resta». Ed è la stessa ferita che ancora squarcia i paesi dello scandalo, nonostante i ricordi ingialliti e la cesura storica del terremoto, fine di un’epoca e inizio di un’altra per chi vive nella Bassa.

«La conclusione di questa storia è una sola: in Italia non c’è giustizia». Sono le parole amare di Davide Bonfatti, il fioraio di Massa. Il suo negozio, in piazza Caduti della libertà, un tempo era gestito dal padre Quinto. «Conosceva il cimitero come le sue tasche. E non ha mai visto o sentito niente di strano», assicura. Nella frazione, sviluppata ai bordi di poche strade che si srotolano sulla pianura, tra i campi e il canale Diversivo, ci si conosce tutti. E con i protagonisti di questa storia, Davide ha incrociato sguardi e pensieri.

La mappa dell'inchiesta
La mappa dell'inchiesta

Tra loro c’è Delfino Covezzi, un altro padre sprofondato nel buio. I quattro figli che aveva messo al mondo con la moglie, Lorena Morselli, gli furono strappati con la stessa pesante accusa: abusi. Il processo, nel 2014, ha definitivamente assolto la coppia, ma la loro vita – è il classico piano inclinato – è ‘rotolata via’. Lorena, la mamma, è fuggita in Francia con il quinto figlio, dato alla luce negli anni dell’inchiesta, per paura che glielo strappassero. Il cuore di Delfino, invece, si è fermato prima che la sua dolorosa vicenda giudiziaria giungesse al capolinea. «Ricordo – sospira Bonfatti – che veniva qui, emozionato, a ordinare un bel mazzo di fiori per la moglie. Mi diceva: ‘Domani vado in Francia’. Non aveva potuto seguire la famiglia, perché doveva lavorare».

Oggi, nella piazza di Massa, è più facile incontrare uno straniero piuttosto che un ‘autoctono’. Il bar è gestito dai cinesi e ai tavolini le ‘esse’ che si allungano e scivolano sulla pianura sono rare. Chi conosce la triste storia dei ‘diavoli’, però, si riconosce subito: scuote la testa e rinfocola il fuoco sotto la solita amara considerazione: «In Italia la giustizia non funziona». Ora il processo ripartirà. E chissà che non riscriva la storia e trasformi queste persone dalla vita in frantumi in ‘poveri diavoli’.

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