di Paolo Tomassone "In casa ne abbiamo sempre parlato come una persona viva. Mio nonno ci raccontava della sua lealtà, della sua semplicità e, al tempo stesso, della sua forza: non aveva paura di niente e se doveva denunciare qualcosa di corrotto o di sbagliato, non esitava a farlo apertamente. E oggi, dopo tanto tempo, lo sentiamo ancora vivo in mezzo a noi". Di anni ne sono passati esattamente 77, ma è ancora viva la memoria di don Luigi Lenzini, parroco modenese inviso ai comunisti che consideravano dannose per i loro progetti politici le sue predicazioni e le sue opere accanto alla gente e che venne ucciso da quattro individui mai condannati. È tenuta viva da Loretta Lenzini che assieme ad altri lontani parenti del sacerdote, si sono dati da fare per raccogliere il maggior numero di testimonianze. Ieri, in piazza Grande, la commozione ha ceduto il passo alla gioia per la fine di un lungo cammino e per il raggiungimento di un traguardo. Don Lenzini è beato. La Chiesa ha aggiunto il suo nome alla nutrita schiera di santi perché quando era in vita è stato "pastore secondo il cuore di Cristo, testimone della verità e della giustizia evangelica, fino all’effusione del sangue". La sua memoria sarà celebrata il 21 luglio, giorno della sua uccisione, avvenuta dopo orribili sevizie di notte, in mezzo a una vigna a Crocette di Pavullo, dove era parroco. Come ha ricordato Papa Francesco nella lettera apostolica proclamata durante la cerimonia di beatificazione dal cardinal Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Assieme a lui, sull’altare allestito alle spalle della Porta Regia del duomo, altri cinque presuli: il nostro vescovo don Erio Castellucci, Solmi di Parma, Morandi di Reggio Emilia, Ghizzoni di Ravenna e gli emeriti Pizzi e Verrucchi. "La guerra è sempre figlia dell’odio ...
© Riproduzione riservata